BY: Irene Barbruni

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Secondo una ricerca condotta dal King College di Londra, il bullismo è un fenomeno che implica conseguenze negative che vengono evidenziate in uno spazio di tempo molto più ampio, anche dopo quarant’anni. Gli individui, vittime occasionali di bullismo durante l’infanzia, sono risultati essere soggetti più frequentemente a peggiori condizioni di salute fisica e psicologica all’età di cinquanta anni (aumentato rischio di depressione, disturbi d’ansia e pensieri suicidi).

Come spiegato nell’articolo precedente il bullismo è un termine improprio meglio sarebbe parlare di atti di sadismo. Infatti se fosse solo l’esigenza di protagonismo a motivare l’azione del bullo, nel momento in cui egli si rende conto del dolore recato alla vittima, si fermerebbe. Ma spesso sappiamo che l’atto di bullismo è sadismo vero e proprio in quanto è vedere la paura nell’altro, la sua sofferenza, la sua sottomissione, che viene vissuta come resa incondizionata e assoggettamento, a provocare il piacere: il piacere di infliggere una sofferenza. Ecco che dovremmo cominciare a riflettere sul sadismo ed individuare dove questo atteggiamento e questo modo di vedere e di sentire si manifesta nella cultura come elemento formatore della personalità.

L’essenza psicologica dell’uomo è incontrare l’altro attraverso il dialogo, quello che chiamiamo il principio dialogico. L’essere umano nasce nella relazione (nel grembo materno) ed è guidato da due principi fondamentali: il principio dell’appartenenza ed il principio della comunione. Il primo riguarda l’appartenenza ad un gruppo e lo ritroviamo anche in molti animali (come le formiche, gli elefanti, ecc.), mentre il secondo è prettamente umano e riguarda la ricerca di un’intimità comune, senza la quale stiamo male anche se a volte non ne siamo coscienti. L’appartenenza e la comunione costituiscono gli elementi archetipici dell’amare nella dimensione umana: invece l’aggressività nasce dalla rottura di questa unità dialogica.

Ciò che subisce la vittima quindi non è banalmente “una presa in giro”, ma una violenza che penetra molto più profondamente. Il bullo sceglie come preda chi è più facile da sottomettere, ossia che ha già il sentimento di appartenenza ferito e che quindi è più vulnerabile. L’atto di violenza nei suoi confronti va proprio ad allargare questa ferita. Quindi il vissuto di impotenza e di squalificazione lo porterà a credere a ciò che gli viene detto/fatto vivere dai “sadici bulli”. E questo sentimento di squalificazione può perdurare per tutta la vita.

Oltre alla violenza, che può subire sul piano fisico, c’è quella sul piano psicologico, in quanto viene colpita e lesa l’identità soggettiva. Questo rende particolarmente perversa l’azione dei ragazzi aggressivi. Il rapporto tra carnefice e vittima è sempre un rapporto di sottomissione, dove la vittima alla fin fine sente quasi come giusta l’azione aggressiva nei suoi confronti: è la sottomissione al potere. In questo senso chiamare bullismo questo fenomeno è improprio e riduttivo. Purtroppo la presenza nella nostra società e delle ultime generazioni di forme di questo genere ci dice quanto nelle profondità della psiche siano ancora vive le forme archetipiche dell’uomo primitivo sadico ed aggressivo. Il problema si fa ancora più evidente oggi data la disponibilità di mezzi potenti a cui possono accedere personalità violente.

Alcune vittime sviluppano un atteggiamento depressivo, ma la possibilità di emanciparsi da quella situazione patita, esiste ed è nella natura dell’essere umano. Molti sono gli esempi di persone, anche celebri, che hanno raccontato la propria esperienza di dolore, ma che successivamente si sono riscattate. L’identificazione con l’essere vittima e quindi soggetto squalificato, senza valore, deve emanciparsi attraverso le proprie caratteristiche soggettive le quali vanno trovate e sviluppate. Da una parte l’educatore del bullo/sadico deve accompagnare il soggetto verso forme più evolute di relazione e far comprendere che non esiste solo la forza, ma la capacità di dialogo e che la violenza alla fine non può e non vince. Mentre l’educatore della vittima deve indicare la via verso la forza che quel dolore può generare dentro il suo intimo.

Per i bambini aggressivi occorre un lavoro pedagogico e di formazione che li aiuti ad emanciparsi da quell’idea di aggressività che hanno scelto come maschera per la loro vita di relazione. A questo proposito, possono avere un ruolo preponderante tutti quei video giochi che hanno al centro la violenza.

Un intervento di prevenzione dovrebbe partire proprio dagli elementi culturali che vanno a costituire l’immaginario collettivo, da cui trae ispirazione sia la condotta che l’interpretazione emotiva ed ideica del giovane.

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