BY: Irene Barbruni

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Il fenomeno della violenza di genere è difficile da misurare, in quanto essa si consuma, nella maggior parte dei casi, all’interno delle mura domestiche. I dati quindi che abbiamo sono presumibilmente sottostimati. Negli ultimi anni i mass media si sono sempre più occupati del fenomeno coniando il termine femminicidio. In Italia ogni anno muoiono decine di donne vittime, nella maggior parte dei casi, del partner o dell’ex partner. Nei primi otto mesi del 2018 i dati parlano di 8414 casi di stalking e, mentre diminuiscono gli omicidi degli uomini, quelli delle donne sono fermi.
L’art. 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne così lo definisce: “É violenza contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà”.
Il fenomeno è globale e sicuramente ci sono paesi nei quali esso assume caratteristiche diverse dai paesi occidentali. Vista la vastità del tema mi concentrerò sulle dinamiche psicologiche considerando la manifestazione del fenomeno nei paesi occidentali, dove esso è diventata un’emergenza, probabilmente perché episodi intrisi di una tale brutalità diventano difficilmente comprensibili a fronte di un certo livello di progresso, che dovrebbe aver determinato una maggiore sensibilità. Si pensi, ad esempio, ai progressi della sanità (il rischio di mortalità durante il parto è pari ad una probabilità su 39 per una madre africana, rispetto a 1 ogni 4.700 per una donna europea o nord-americana) e alla legislazione che ha fatto molti passi avanti per la parità uomo/donna (anche se la legge del diritto di famiglia, che stabilisce l’uguaglianza tra i coniugi, è del 1975 quindi relativamente recente). Come mai nonostante il progresso sociale, scientifico ed economico, esiste ancora un fenomeno che vede uomini che hanno atteggiamenti violenti verso la propria partner fino addirittura a toglierle la vita? Il fenomeno è trasversale e colpisce anche famiglie economicamente e culturalmente avvantaggiate. Dato che è il maschio che agisce con violenza sulla donna ed è più raro il contrario, il problema risiede nel maschio. Dobbiamo chiederci che tipo di maschile è presente oggi?
Interessante è il nuovo spot, di una nota marca di prodotti per l’igiene personale, che ben semplifica e descrive le radici profonde di un’educazione ed impronta culturale che riversa sul maschile un modello legato alla forza fisica e alla virilità, connesso al tema del dominio sull’altro. Spot che ha subìto critiche in quanto “mina la virilità dell’uomo”. Quindi l’idea di uomo che oggi domina è ancora quella che aderisce ad un modello maschile tutta azione (agressiva), niente sentimento e quindi orientato all’agito emotivo, alla prevaricazione ed al pensarsi invulnerabile. Un uomo, quindi, che non sviluppando fin da piccolo le capacità che lo mettono in contatto con il mondo dei sentimenti, non saprà gestire il mondo delle proprie relazioni e soprattutto non avrà gli strumenti intellettivi ed empatici per comprendere il mondo femminile.
Stando ai dati statistici, il movente “passionale o del possesso” continua ad essere il più frequente. Quando la donna decide di interrompere un legame, l’uomo è incapace di accettare la realtà e utilizza la violenza. Il tema dell’amore, come spiega Jung, è accompagnato dal tema del potere. In una relazione d’amore i soggetti coinvolti sentono che inevitabilmente hanno potere sull’altro. Quindi se immaginiamo l’amore e il potere come punti estremi di una linea, possiamo vedere come se ci avviciniamo al potere ci allontaniamo dall’amore. Ecco che un uomo che sente di avere potere sulla donna che lo ama, la trasforma automaticamente in un oggetto di dominio e possesso.
Nella storia l’uomo si è identificato in un’idea di virilità che ben rappresenta il così detto maschio alfa ossia l’uomo che domina. Parallelamente molte donne sono spesso più attratte da questo tipo di uomo e scambiano la spavalderia con la forza interiore e la capacità d’amare. Anche il femminile spesso risulta schiacciato in una visione di donna che pensa ancora inconsciamente di aver bisogno di essere dominata da un uomo. Tutto ciò deriva dal fatto che la società odierna è ancora immersa in una cultura maschilista; gli studi sociologici ben descrivono la società androcratica (in modo particolare ne parla la sociologa statunitense Riane Eisler).
La lunga strada da percorrere, quindi, nasce dall’educazione delle nuove generazioni. Bambini che devono essere educati al sentimento e non essere etichettati “femminucce” se imparano a gestire i conflitti con la parola e la mediazione e non attraverso la forza fisica. Di contro anche le bambine dovrebbero presto imparare a coltivare una maggior consapevolezza della forza della pazienza e dei sentimenti tipici del mondo femminile.
Purtroppo molto subdolamente ancora oggi quello che viene spacciato per qualcosa di nuovo, dopo un’attenta analisi, non è quasi mai così. Ne è un esempio la trasformazione “moderna” della favola di Biancaneve in un film del 2012, in cui Biancaneve si trasforma in un’amazzone sviluppando gli aspetti maschili dell’aggressività e della vendetta. Viene tolta quindi quella capacità di superare gli elementi distruttivi, presenti nella personalità, attraverso una catarsi evolutiva tipicamente femminile presente nella fiaba originale rappresentata dal simbolismo dei sette nanni (il sette simbolo di integrazione interiore). Chiaramente viene scelta una modalità maschile togliendo e, quindi svalutando, una modalità femminile. Questo esempio per comprendere che, l’immaginario collettivo dell’uomo contemporaneo, spesso non aiuta a raggiungere un livello di coscienza più alto. Consapevoli di questo è bene filtrare ciò che arriva ai bambini, sottoforma di giochi ed immagini, cercando di evitare tutto ciò che spinge verso gli aspetti regressivi e aggressivi della personalità a dispetto di ciò che fa evolvere.
La convenzione di Istanbul, all’art. 14, prevede l’introduzione nelle scuole dell’educazione all’affettività per passare quindi dall’educazione sessuale a quella più complessa, ma più autentica ed evoluta, che riguarda la vita dei sentimenti. Solo se la sessualità è reintrodotta all’interno del sentimento può diventare autentica ed arricchire la relazione. Ma anche qui l’impronta maschilista si rende visibile, in quanto proprio nella visione maschilista la sessualità è sganciata dai sentimenti. Altrimenti non capiremmo il fenomeno culturale della prostituzione: la donna pagata ad uso e consumo del maschio. In famiglia è importante affrontare presto il tema della prevaricazione della forza maschile e cogliere le occasioni, che la vita quotidiana offre, per riflettere con i nostri figli su tematiche come violenza, giustizia, pazienza, diversità e rispetto.

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