BY: Renato Barbruni

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Sinfonia d’autunno
di Ingmar Bergman

E’ l’incontro scontro di due donne attraverso il vissuto più o meno cosciente del loro fallimento come madri e come donne.
L’una, interpretata da Ingrid Bergman, la madre, tutta identificata e nascosta dietro la sua professione, una pianista affermata, tiene ben lontano il senso e la voce del suo fallimento, rafforzando così il rapporto con la musica e il suo pianoforte (tema che troviamo con altre motivazioni in “Lezioni di piano”). Il mondo relazionale di questa donna appare impoverito e agito in un evidente formalismo che la rende sempre più insensibile e lontana dal centro della sua esistenza. E’ una donna vuota quasi caricaturale nei gesti e negli schemi mentali;impreparata a cogliere il mondo dei sentimenti e dei vissuti profondi delle persone (emblematica la scena in cui ricorda con distacco e sarcasmo il suicidio di un suo amante, allontanando subito da se stessa la possibilità di una compassione che la porterebbe ad interrogarsi). Ma i fantasmi suscitati dalla incompiutezza esistenziale la sorprendono nella notte: dapprima un sogno, quasi un sensazione fisica di una presenza che invade la sfera intima, la sorprende con richiesta di affetto elementare che lei rifiuta con terrore. Qui l’aridità della sua anima si manifesta con tutta la sua carica grottesca. In seconda luogo il dialogo con la figlia che la inchioda al suo passato, un passato con il quale lei non vorrebbe fare i conti. La scena va anche letta in chiave simbolica come un tentativo di dialogo interiore della donna su se stessa alla ricerca di un qualche alibi che la sollevi dalle proprie responsabilità e dal terrore suscitato dal senso del fallimento esistenziale. Sarà lei stessa a smascherarsi là dove la sua abilità intellettuale si infrange nella stupefatta incapacità di comprensione. E’ da notare a proposito la puntigliosa lettura psicologica di un preludio di Chopin che riflette negli occhi della figlia un mondo relazionale perduto e irraggiungibile.

Dall’altra la figlia Caroline, interpretata da Liv Ulmann, che porta dentro di sé il fallimento della sua maternità nel ricordo della morte tragica del figlioletto. In ciò ella vede confermata la previsione della madre che non ha mai creduto in lei, e da ciò la lotta per recuperare un senso perduto. Appare come una donna incerta, chiusa in se stessa che vive al margine della propria autentica soggettività in bilico tra l’essere in sé e l’essere per l’altro. E’ il senso della colpa, agito e pensato quale primo motivo della sua incapacità (qui intesa come paralisi espiativa), che la schiaccia in quella posizione esistenziale. Da questa interpretazione di se stessa trae energia lo scacco che rende impossibile la sua evoluzione.
Il confronto con la madre, che parte come moto di rabbia e sfogo di profonde frustrazioni affettive, diviene momento di riflessione sul senso e sulla natura dell’essere madre alla ricerca di un modo di relazione ancora inesistente. Ciò che ancora sfugge alle protagoniste è il fatto che esse combattono l’un l’altra prima ancora di volgere la sguardo all’aspetto d’ombra dell’archetipo che le intrappola: l’archetipo della madre.

La presenza nel racconto di un’altra figlia, Hèlene, colpita nel corpo e nella capacità espressiva, disegna a caratteri forti tutta l’angoscia proiettata sull’archetipo della madre: una trama esistenziale, questa,tipica dei nostri tempi.
Fino a che il dramma rimane entro il limite della tematica madre-figlia, a cui si fa accenno nella frase che Caroline pronuncia al marito: “non si finisce mai di essere madre e figlia”, non ha sbocco risolutivo costringendo le protagoniste a cercare colpe, manchevolezze, scuse, alibi e difese. Per diverse ragioni, o diversi motivi, entrambe hanno di fronte,come si è detto, l’archetipo della madre che si presenta alla loro anima nella forma riflessa dalla cultura di riferimento che impone alla donna l’identificazione nella procreazione biologica e nell’accudire materiale del figlio del loro grembo. Là dove la libera espressione della soggettività dell’essere promuove l’apparire di motivazioni e aneliti diversi, il conflitto è inevitabile sia che vinca la condizione storicamente data, sia che prevalga la nuova forma di essere.

Entrambe quindi impattano all’interno dell’archetipo della madre senza riuscire ad accedere al piano dell’esistenza del femminile. In altre parole: o sono madri o sono figlie.

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