BY: Irene Barbruni

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I popoli primitivi ritenevano che le donne avessero la stessa natura della luna, infatti potevano “ingrossarsi” come la luna e il ciclo mensile ha la stessa durata di quello lunare. Nella società odierna dove tutto è affidato alla scienza (il sole) questo contatto con la natura è quasi dimenticato; infatti, oggi si tende a dare molto più spazio all’intelletto trascurando la forza dell’istinto. Spesso le giovani madri vivono sentimenti di inadeguatezza perché faticano ad entrare in contatto con la loro naturale capacità di comprendere i loro figli.

L’essere umano possiede delle strutture psichiche che, a seconda del riferimento teorico, vengono chiamate in modi diversi: imprinting, a-priori o archetipi (termine usato da Jung). Queste impronta, che viene chiamata attaccamento nell’ambito della psicologia cognitiva, può essere meglio definita impronta della relazione. Meglio definita perché attaccamento richiama più al contatto diretto (gesto di prendere qualcosa), mentre relazione è una forma più evoluta perché comprende un certo distacco.

Questa forma di contatto si può manifestare attraverso diversi modi. Per esempio, semplicemente partendo dalle potenzialità percettive ossia i cinque sensi: vista, udito, tatto, olfatto e gusto. Questo tipo di contatto all’inizio è prepotente, invadente e totalizzante. Proviamo ad immaginare il bambino nel ventre della madre dove tutto è compreso nel corpo materno. Quando il neonato nasce rimane in contatto con il corpo materno attraverso tutti e cinque i sensi contemporaneamente (pensiamo al momento dell’allattamento).

Ma cosa avviene a livello psicologico mentale? Il bambino in questo modo resta compreso nel corpo della madre e nella sua mente c’è l’idea della madre ossia l’archetipo della madre. In altre parole nel tessuto immaginario del bambino, nell’idea che lui ha di sé stesso, è compresa la madre. Si può meglio comprendere questo concetto se pensiamo, per esempio, che nell’idea che noi abbiamo di bene c’è l’idea di male, così come nell’idea che noi abbiamo di montagna c’è l’idea di valle.

Nel corso della crescita il bambino comincia a staccarsi da quella forma di contatto primitivo per passare gradualmente ad un’altra forma di modalità di relazione dove c’è un rallentamento dei legami con i cinque sensi; ad esempio, se si pensa al nutrimento rimarrà il contatto visivo, mentre quello gustativo no. Il bambino non mangia più tra le braccia della madre ed è, quindi, chiamato ad un grande sforzo perché dovrà rinunciare a quella forte dipendenza fisica. Dovrà realizzare un tipo di contatto che è sempre meno fisico e sempre più psicologico. Qui nasce un altro senso: la psiche. Comincia a relazionarsi con il mondo non solo con il corpo fisico, ma anche con quello psichico. Quindi dentro di sé è chiamato a modificare l’immagine della madre: se prima era la madre biologica (Eva) ora è la madre psicologica. Quindi i comportamenti sul piano fisico, che restano comunque essenziali, non sono sufficienti.

Possiamo dire che il bambino nasce due volte. Nella prima nascita lascia un Eden, che è il ventre materno, dove ogni bisogno veniva soddisfatto immediatamente. Il parto è il primo distacco e il bambino è già capace di contenere in sé il vissuto della drammaticità che lo pervade quando la natura lo spinge fuori dal grembo materno. Bisogna tener presente che esistono differenze individuali in quanto c’è chi vive più o meno drammaticamente il distacco a seconda della capacità di contenimento; ci saranno bambini che si presentano più o meno bisognosi di attenzioni.  

Il bambino tende a ricostruirsi intorno l’ambiente perduto, ossia l’utero percepibile dai sensi che però non bastano più in quanto la madre non può essere sempre vicino a lui. Il bambino deve, quindi, costruirsi quella che viene chiamata in psicologia cognitiva base sicura, ossia la percezione di sentirsi all’interno di un tessuto d’amore entro il quale sentirsi protetto. Come  facilitare la formazione di quella che è chiamata base sicura?

Frequentemente i neogenitori si interrogano sul “cosa fare”, ma in realtà non è tanto importante quello che si fa ma come viviamo l’altra persona, ossia quanto siamo capaci di ascoltare l’altro, in questo caso il bambino. L’ascolto è la parte passiva del rapporto interpersonale, mentre il fare è quella attiva. Le mie azioni scaturiscono da come riesco a comprendere l’altro e, quindi, diventa importante interrogarsi prima su come vivo l’altro piuttosto che “cosa devo fare”.

Ascoltare l’altro non è così semplice e scontato. Pensiamo a quante volte ci succede di accendere la televisione, ma in realtà non ascoltare nulla perché totalmente presi dai nostri pensieri e preoccupazioni; questo accade anche nel mondo della relazione. Nel rapporto con i nostri figli è necessario però imparare a dedicarsi totalmente alla relazione con lui in modo costante. Ovviamente non possiamo essere perennemente attenti, ma lo dobbiamo essere in modo sufficiente per creare uno spazio di intimità, poiché è solo da questa condizione che può nascere l’ascolto empatico e di conseguenza il fare empatico. L’empatia non è altro che la capacità di collegarsi al sentire  dell’altro ed è una nostra naturale capacità, che però deve essere esercitata quotidianamente. Quindi cosa ci deve essere e cosa non ci deve essere in quello spazio intimo che io creo con mio figlio?

Non ci devono essere le preoccupazioni legate al lavoro per esempio. Ovviamente non possiamo rimuoverle, ma bisogna essere capaci di tenerle sullo sfondo nel momento in cui mio figlio ha bisogno di me e delle mie cure. La pratica yoga, le tecniche di rilassamento e la meditazione hanno lo scopo di facilitare proprio questo tipo di lavoro. Ci devono essere, invece, gli atteggiamenti interiori e i sentimenti che avete per vostro figlio. Importanti sono i sentimenti di rispetto e dignità, sentimenti nobili che ci liberano dalla tendenze a giudicare l’altro, come per esempio a dare etichette al bambino come “viziato” o “capriccioso”. Bisogna ricordare che è nel rapporto con i genitori che il bambino sviluppa la sua nobiltà d’animo e il suo valore soggettivo.

I sentimenti per un figlio non sono sempre “positivi” ovviamente. Pensiamo alle rinunce che un genitore deve fare, soprattutto nei primi anni di vita. Nel momento in cui non vi permetterà di uscire con gli amici, per esempio, non sarete cattivi genitori perché avreste preferito andare fuori, ma ciò che importa è la consapevolezza e l’accettazione di questi sentimenti: l’essere consapevoli di aver scelto vostro figlio perché è la cosa più importante in questo momento della vostra vita.

Riporto un esempio, per meglio comprendere quanto sia importante accettare l’opposto dentro di noi. Ricordo una paziente con un profondo sentimento depressivo che non è mai riuscita ad armonizzare gli opposti dentro di lei. Questa donna si è occupata per dieci anni del padre malato, in cui lei si è totalmente dedicata a lui. Mentre razionalmente dice di averlo fatto volentieri viene comunque alla luce una certa rabbia. Sicuramente in quei dieci anni avrebbe voluto essere libera di vivere la sua vita però non se l’è concesso, perché non ha saputo accettare che in un grande sentimento d’amore c’è anche desiderio di avere spazi propri.

Bisogna tener presente che esiste una differenza tra corpo fisico e corpo psichico. Il primo non è il luogo della nostra vita ma soltanto la base; il secondo è il luogo della nostra vita. Infatti, vediamo quanta importanza hanno le istanze che proiettiamo sulla realtà. Ad esempio, se vedo un tramonto e lo collego ad un evento positivo, quando lo rivedrò lo percepirò come bello. Per questo è importante l’idea che si ha del proprio figlio ed è fondamentale l’esserne consapevoli in quanto il fare è conseguenza dell’essere.

In tutto questo è importante tener presenti i diversi bisogni psicologici dell’essere umano: bisogni sociali (di stima, di essere riconosciuti), bisogni personali (di giustizia, di libertà, d’indipendenza). L’avere un ruolo è importante perché è alla basa della relazione e spesso è il primo mattone della propria identità sociale. Chiediamoci, quindi, che ruolo ha in casa il neonato perché è fondamentale dargli dignità ed instaurare con lui una intima comprensione per riconoscere le sue necessità; questo significa anche modificare l’idea che i genitori hanno del bambino.

Quindi bisogna esercitarsi ed imparare a mettere i pensieri da parte ed attuare una sorta di “ecologia mentale”. Non servono formule del “cosa fare o cosa dire”, perché solo chi vive il rapporto può discernere cosa fare in modo naturale. Anche perché i bisogni di un figlio cambieranno negli anni e se i genitori hanno un buon contatto empatico saranno adeguati ai problemi che il figlio avrà crescendo (a pochi mesi sarà la colica che lo farà disperare, quando sarà grande sarà la ragazza che lo ha lasciato o la lite con l’amico e così via). Non ci deve essere giudizio sull’altro e su sé stessi, ma ascolto e bisogna saper discernere tra ciò che è bene in quel momento per nostro figlio.

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