BY: Irene Barbruni

Il sexting in adolescenza
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I bambini, nella società contemporanea, hanno la possibilità di connettersi ad internet in età sempre più precoce, purtroppo torniamo a parlare dei pericoli che vi sono dietro l’utilizzo della tecnologia. Dico purtroppo perché essa è un mezzo potente che ha sicuramente ottime potenzialità, ma sappiamo dalle varie statistiche, che l’utilizzo dei mezzi tecnologici non è impiegata dalle nuove generazioni come mezzo di conoscenza; ma il modo di utilizzo li trasforma in una fonte di immagini e contenuti che di fatto deformano e limitano le capacità psicologiche del soggetto. A questo riguardo, interessanti sono gli studi riguardanti la relazione tra uso del cellulare e media scolastica. Per il 90% degli studenti il numero di ore trascorso al cellulare è inversamente proporzionale alla media scolastica (non è la stessa cosa per l’utilizzo della tv, che invece non incide nella capacità di apprendere): quindi l’utilizzo del telefono (che nella stragrande maggioranza dei casi è legato all’invio e ricezione di messaggi) è fonte di distrazione continua che porta all’insuccesso nello studio. Ciò a causa delle dispersione del pensiero che produce una dinamica entropica, cioè disgregativa, in contrasto con l’attività di coscientizzazione che invece è di concentrazione. Questo, come altre tipologie di problematiche legate all’utilizzo di quel tipo di tecnologia, è legato al fatto che un soggetto, non sufficientemente formato, non è in grado di utilizzare in modo attivo lo strumento tecnologico, ma ne rimane intrappolato in un utilizzo caotico e passivo.

Tra le varie attività che, come abbiamo detto, riguardano nella maggior parte dei casi lo scambio di foto e messaggi, vi è anche lo scambio di materiali con contenuto sessuale che è in costante crescita. Questo fenomeno è chiamato sexting e interessa sia i maschi che le femmine, anche se queste ultime sono quelle che ne subiscono maggiormente gli affetti negativi, come quasi sempre accade. Infatti tra le conseguenze relative a questo fenomeno c’è il ricatto di divulgazione delle immagini, che rientrano in fenomeni di violenza come il cyberbullismo. Le ricerche ci dicono che questa pratica perversa non solo è in crescita, ma riguarda sia adolescenti che pre-adolescenti. Il coinvolgimento dei giovanissimi in questa tipologia di relazione virtuale comporta dei rischi che non possono essere sottovalutati. Al di là della mancanza di consapevolezza dei problemi legati alla divulgazione di queste immagini che riguardano il codice penale (poiché si configura come divulgazione di materiale pedopornografico), vi sono dei rischi legati alla crisi dell’intimità che porta risvolti psicologici ad ogni età, ma certamente le conseguenze vengono amplificate quando l’utilizzo avviene precocemente.

Tralasciando i rischi connessi agli aspetti legali e ai rischi relativi alla divulgazione di immagini sensibili su internet, vorrei soffermarmi sugli aspetti psicologici legati alla diffusione di questa abitudine, che risulta come la punta di un iceberg rispetto a problematiche profonde che si riscontrano nelle nuove generazioni.

Lo scatto di una foto a contenuto intimo è legato alla crisi dell’intimità sempre più dilagante. Essa deriva da una tendenza all’estroversione e da una perdita dell’esperienza soggettiva. Una personalità equilibrata deve possedere sia capacità di estroversione (ossia di rapporto con il mondo esterno), sia capacità introversive (legate all’ascolto della dimensione interiore). Nella realtà quotidiana il mondo soggettivo (o sfera soggettiva) è inflazionato dall’attitudine all’estroversione. L’esperienza è quindi sempre versata nel mondo esteriore, fino ad ammutolire la dimensione soggettiva nel proprio intimo.

L’uomo cerca per tutta la vita di realizzare se stesso, ma questa tensione viene catturata dalla società, in questo caso consumistica ed ostentativa; la realizzazione passa attraverso il successo mondano, che invece di completarlo lo travia, lo oscura e lo allontana dal suo centro (da cui il continuo senso della mancanza di qualcosa che è utile al consumismo). Quindi il soggetto si trova a vivere una falsa ricerca di sé che si traduce, se parliamo di tecnologia, nelle foto postate e nei commenti che si leggono ad ogni ora del giorno e, in molti casi, anche della notte.

Anche negli incontri d’amore tante persone cercano una realizzazione piuttosto che l’amore. Il piacere della sessualità dovrebbe inscriversi dentro un’unione visibile, ma anche invisibile, che può avvenire nella dimensione interiore e spirituale. Il piacere è però subito scelto e posto al centro dell’evento che unisce i due, così l’unione viene oscurata e svuotata di senso, si è giunti quindi alla separazione tra sessualità e sentimento. Se sganciamo la sessualità dal sentimento non possiamo essere capaci di commisurare le nostre scelte comprendendo i bisogni dell’altro attraverso comportamenti eticamente corretti.

Da ciò quindi derivano le conseguenze legate alla mercificazione del corpo e alla presenza di minacce (“se mi ami devi inviarmi quel tipo di foto”) o di pressione dei pari (“lo fanno tutti”).

Bauman, il noto sociologo, in un’intervista spiega come i social network diano la possibilità di avere facilmente milioni di contatti con altre persone. Questi contatti danno la possibilità, spiega, di avere un rapporto senza restrizioni e con poco sforzo; ciò rende anche più facile chiudere una relazione e rende possibile avere un maggior numero di rapporti. Se si “guadagna” qualcosa da una parte, dall’altra parte si perde qualcos’altro; in questo caso nella molteplicità di rapporti diversi si perde la parte profonda del rapporto d’amore e la condivisione delle esperienze. Bauman spiega che si perde quel lavoro e quello sforzo che in un rapporto d’amore ci obbliga a convincere ogni giorno il nostro partner di essere degno di lui. Ecco che il giovane adolescente, che deve ancora maturare la propria capacità di entrare in una relazione d’amore profonda con l’altro, può perdersi di fronte a questa possibilità di relazione attraverso immagini prive del contatto umano. Questo processo disgregativo e mortificante per l’esperienza soggettiva è ancor più evidente nello scambio di materiale relativo alla sfera sessuale. L’altro non è più l’Alterità del proprio anelito al dialogo (logos a due), ma diviene oggetto del proprio piacere guidato del desiderio del possesso; ciò conduce ad un grave impoverimento etico.

BY: Irene Barbruni

I tic: cosa sono e quando insorgono
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I tic sono dei movimenti involontari e ripetuti che interessano il sistema extrapiramidale; i tic facciali sono sicuramente quelli più frequenti. Quando questo tipo di disturbo non dipende da lesioni organiche ha un’origine psicogena e tende quindi ad accentuarsi in situazioni emotive e stressanti. Alcuni studiosi come G.Jervis hanno evidenziato come il tic sia una forma particolare di rituale ossessivo, infatti esso è la ripetizione automatica di una gestualità che ha la finalità di “scaricare” l’ansia.

Possono essere più o meno invasivi e compaiono durante l’infanzia, solitamente tra i 4 e i 12 anni. Un bambino su cinque manifesta un tic per un certo periodo, spesso in modo lieve e transitorio, sono più frequenti nei maschi e scompaiono quasi sempre all’ingresso dell’adolescenza. In vari paesi dall’inizio della pandemia si è riscontrato un aumento dei casi.

Fondamentale è la reazione delle figure di riferimento quando compare un tic. E’ bene non dare troppa importanza a ciò che accade. Questo perché, come abbiamo detto, solitamente il tic è transitorio. Se invece il genitore o altre figure di riferimento notano che il tic è l’espressione di un malessere più ampio, quindi rientra in un quadro di sofferenza psicologica più complessa, è bene richiedere una valutazione psicodiagnostica.

Il significato del tic può essere molteplice ed individuarlo può essere importante per agevolare  la scomparsa del sintomo. Tuttavia non sempre si riconosce un evento scatenante o una difficoltà specifica, quindi al di là dell’interpretazione del singolo caso ciò che può aiutare il superamento di questo sintomo è il ricorso a tutte quelle attività che sviluppano la capacità di rilassare la muscolatura e il corpo in generale. Infatti il sintomo richiama ad un movimento al di fuori del controllo, come se l’individuo fosse mosso dai fili di un burattinaio. Il tema del controllo è centrale in questo tipo di sintomatologia. Il rilassamento permette di riabituarsi ad un contatto con il proprio corpo che riguarda più l’abbandono che  la contrazione.

Quindi esercizi di rilassamento muscolare facilitano il superamento di questo sintomo. Il fastidio legato al tic consiste in due fattori:  da una parte il movimento contratto e ripetitivo che porta ad una stanchezza di quella parte interessata (alcune volte proprio il tipo di movimento impedisce lo svolgimento di movimento naturali), dall’altro il soggetto si rende conto di attirare l’attenzione su di  sé quando è percorso da questa modalità che egli non sa controllare (il soggetto può essere quindi traversato da un sentimento di autosminuzione di sé).

Se quindi da un lato l’esercizio del rilassamento aiuta il sistema muscolare a liberarsi dalla tensione nervosa, dall’altro il valorizzare la capacità del soggetto lo aiuta a ridurre l’ansia relazionale che egli patisce. A fondamento del sintomo infatti troviamo una forte ansietà legata alla relazione con l’altro. Aiutare quindi a fare emergere le proprie caratteristiche aiuta ad abbassare l’ansia di relazione.

BY: Irene Barbruni

I ruoli genitoriali sono cambiati? Perché si sente usare la parola “mammo”?
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Indubbiamente sono molti i cambiamenti che osserviamo all’interno dei nuclei familiari. Oggi la cura dei figli non è più esclusivamente svolto dalle madri. Ma perché a volte sentiamo il temine “mammo”? Spesso le parole che usiamo, anche in modo non consapevole, veicolano dei messaggi in modo subdolo: quindi, in questo caso, è importante riflettere sui ruoli genitoriali.

Al di là della cura del bambino, che può e deve essere suddivisa tra i genitori, vi è una modalità diversa di approcciarsi al proprio figlio. Entrambe le relazioni con i genitori sono fondamentali per la crescita, ovviamente parliamo di figure genitoriali amorevoli senza problematiche o patologie. Dal punto di vista relazionale la madre è più sensibile al mondo soggettivo del proprio figlio, quindi è più attenta alle problematiche psicologiche e relazionali. Questo atteggiamento facilita l’empatia con il bambino, ma sviluppa anche la tendenza ad una eccessiva protezione. Diversamente, il padre è più legato al mondo del fare, delle esperienze e spinge maggiormente il figlio verso il principio di realtà. Il principio di autorità del padre ha il ruolo di sviluppare nel giovane quelle capacità utili ad affrontare le difficoltà della vita.  Quindi, il padre spinge verso la volizione tralasciando, invece, gli aspetti etici e relazionali di quelle esperienze. Ecco che si comprende bene come i ruoli genitoriali siano equamente importanti e fondamentali per una crescita armonica, se sono equilibrati e dialoganti tra loro.

Alla luce di queste riflessioni la definizione “mammo” purtroppo svilisce sia la funzione materna che paterna. Oggi sappiamo che nel nostro paese le donne si occupano in modo prevalente dei figli e della casa, anche se sempre di più anche i padri sono impegnati nel lavoro domestico. Quindi la figura genitoriale maschile tende ad essere più presente nella relazione con il proprio figlio e di conseguenza questi tende ad aumentare le richieste al proprio padre.

Possiamo pensare che la definizione “mammo” sia legata al fatto che un padre che si occupa anche della cura della casa e dei figli, è visto come eccezione. In realtà una presa di coscienza dell’importanza della figura paterna oggi è fondamentale. Il maggior tempo educativo con i figli, tenendo conto delle caratteristiche psicologiche che abbiamo spiegato, è auspicabile e prezioso anche per il padre stesso. A volte capita di leggere della “crisi del padre”, ossia del principio di autorità, che oggi spesso si osserva. Al di là di quello che si fa con il proprio figlio è fondamentale l’atteggiamento del genitore. E’ giusto liberarci da vecchi stereotipi circa i ruoli familiari perché un padre che cucina per i propri figli non perde la propria identità maschile. Tuttavia il padre oggi tende a dimenticare il suo ruolo normativo e indicativo per scivolare verso un ruolo più amicale che paterno. E’ molto importate che il padre sappia trovare l’equilibrio tra la sua maggiore presenza nella vita del figlio, con le conseguenti complicità ludiche, a cui ciò lo espone, con la necessaria attività orientativa, sia pragmatica che etica, del proprio figlio. Per far ciò è necessario che egli sappia mettersi in discussione, si adoperi per analizzare il senso ed il movente che muove le sue scelte e il suo agire. Se sarà vigile in se stesso e su se stesso, potrà evolvere proprio attraverso l’evoluzione delle necessità del figlio, aiutandolo a sviluppare le capacità pragmatiche, poetiche ed etiche che ne garantiranno una vera autonomia.   

BY: Irene Barbruni

I rischi della pornografia sulla formazione della persona
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Diverse sono le ricerche che hanno approfondito gli effetti delle immagini pornografiche sul funzionamento del cervello. Conosciamo le conseguenze sull’adulto come ad esempio la dipendenza e le problematiche sul desiderio sessuale, ma attualmente, vista la facilità con cui è possibile anche per i più piccoli entrare in contatto con quel tipo di immagini, si stanno studiando i pericolosi effetti sulla formazione della personalità. Alcune ricerche hanno registrato la modificazione della struttura cerebrale dell’emisfero sinistro in seguito all’esposizione alla pornografia online che determina una forte reazione emotiva.


Negli ultimi anni si osserva che l’esordio del periodo adolescenziale tende ad anticipare, ossia sempre più precocemente i giovanissimi agiscono la loro sessualità. Purtroppo però tutto ciò a fronte di un’ immaturità relazionale ed etica, spesso accompagnata da un’ inconsapevolezza delle problematiche legate alla propria identità sessuale. Questa disarmonia diventa un problema in quanto i ragazzini agiscono sessualmente senza rendersi conto di quello che fanno e soprattutto senza gli strumenti etici e relazionali che la situazione richiede. A questo dato dobbiamo considerare che i bambini hanno sempre di più la possibilità di connettersi a internet in età sempre più precoce. Le statistiche ci dicono che circa il 30% dei bambini accede alla pornografia online, la percentuale sale al  44% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni.

Considerando il contesto culturale in cui si muove l’adolescente attuale, la spinta verso le esperienze emotive e la ricerca del piacere come trama essenziale, la pornografia si aggiunge come ulteriore problematicità. I bambini non devono scoprire la sessualità attraverso la pornografia, in quanto in essa viene proposto un modello che non corrisponde alla realtà e soprattutto alle esigenze umane. Inoltre tanto più il bambino è piccolo tanto più i rischi sono alti, in quanto si troverà a dover affrontare emozioni che non è in grado di gestire e dalle quali viene quindi sopraffatto e travolto.

Se lasciamo che siano questo tipo di immagini ad avvicinare i giovanissimi alla sessualità, chiaramente forniamo una rappresentazione distorta, molto lontana da una sana sessualità. Con “sana sessualità” si intende una sessualità vissuta all’interno della sfera relazionale connotata da sentimento di reciprocità ed ispirata all’ideale della comunione tra le persone. La pornografia invece mostra un maschio dominante e una femmina sottomessa ripiegata a puro oggetto del piacere, e quindi in modo implicito fornisce l’idea che la donna provi piacere nell’essere umiliata e dominata. Teniamo presente che, al di là delle immagini pornografiche, oggi la cultura è dominata da una visione maschilista della sessualità la quale tende ad essere vissuta e vista come momento di piacere slegato dalla relazione e dai sentimenti. Una sessualità che si sviluppa dalla trama dell’uso e del dominio dell’altro, presuppone anche la visione dell’altro come oggetto da usare. Tale vissuto è alla base dell’insoddisfazione sessuale che oggi registriamo costantemente. Infatti come mai, nonostante oggi, dove i costumi culturali hanno liberato la sessualità la quale non ha più vincoli morali, assistiamo ad un aumento dell’insoddisfazione, delle insicurezze e delle problematiche sessuali? Tra l’altro il tema dell’ inibizione sessuale era ed è al centro di differenti teorie psicoanalitiche, da cui l’indicazione di quelle teorie di vivere più liberamente la sessualità.

Quindi nonostante la cultura abbia liberato la sessualità si assiste, come dicevo, ad un aumento dell’ insoddisfazione sessuale. Questo perché essa è stata privata della sfera relazionale cadendo nella logica maschile; ciò che genera la vera soddisfazione è una sessualità vissuta all’interno della relazione d’amore. La pornografia contribuisce ad alimentare una cultura dionisiaca che contraddice le vere esigenze del soggetto umano, da cui l’insoddisfazione. Da questa frustrazione oltretutto si genera l’uso di sostanze allo scopo  di provare il piacere che questa sessualità impoverita non offre più.

Il compito dei genitore è assai difficoltoso, in quanto non solo si deve vigilare sulla percezione della sessualità ma, al contempo, difendere i figli dalla trappola delle immagini pornografiche, le quali si trovano anche in tanta pubblicità. I genitori devono prendere coscienza di questa realtà. Purtroppo la sola sorveglianza a casa non basta in quanto ci può essere sempre un altro bambino che può mostrare filmati in qualsiasi luogo o contesto. Quindi è importante che siano i genitori a riflettere con i loro figli su queste tematiche e li supportino fornendo loro quella capacità critica che non possono avere in giovane età. Le riflessioni non dovranno riguardare solo o prettamente la pornografia, ma in senso più ampio è fondamentale fornire un’educazione all’affettività e al rapporto tra i sessi. E’ fondamentale contrastare la deriva culturale e maschilista, di cui abbiamo accennato, cercando di trasmettere ai più giovani l’educazione al rispetto di se stessi e dell’altro; soprattutto parlare di sentimenti e non solo di emozioni.

BY: Irene Barbruni

Perché esiste la paura dei mostri?
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La paura dei mostri fa parte del mondo dell’infanzia di ogni individuo. Essa deve avere quindi un ruolo importante nell’evoluzione della nostra psiche.

Il noto psicoanalista Jung nel corso dei suoi studi sulla personalità, traendo spunto dalle scienze alchemiche, spiega che è fondamentale l’integrazione del nostro lato Ombra.  Esso rappresenta quella parte della personalità inconscia con la quale diviene necessario trovare un dialogo. Infatti stabilire un contatto dialogico con la parte profonda di noi stessi significa stabilire un legame con il nostro sapere inconscio, un sapere sedimentato nei millenni della storia. Infatti Jung aggiunge al concetto di inconscio personale, quello di inconscio collettivo, ossia l’insieme delle esperienze dell’umanità che risiede dentro la nostra psiche attraverso gli archetipi.

Il termine “mostro” ha assunto una connotazione esclusivamente negativa solo recentemente. In realtà in passato esso racchiudeva significati come per esempio “un segno divino inviato da Zeus” nel mondo greco; oppure in latino la parola “monstrum” era legato originariamente al verbo “avvertire”, “richiamare l’attenzione su”. Nelle fiabe non è un caso che essere inghiottiti dal mostro coincida con un momento di trasformazione. L’intreccio fiabesco ha proprio la funzione di spingere il bambino ad esplorare il proprio mondo interioree, da ciò trovare la soluzione tra dimensioni opposte come, per esempio, il bene e il male. Quindi il bambino impara prima ad esplorare la propria Ombra attraverso la fantasia, per poi avere gli strumenti per affrontare il mondo esterno e le difficoltà della vita reale.

A volte si può avere la percezione che i bambini di oggi non si lascino spaventare come i bambini di qualche decennio fa. Certo molte cose negli ultimi decenni sono cambiate. Oggi i bambini hanno meno occasione di entrare in contatto con la loro personale interpretazione del mostro che è raffigurato in modo esponenziale da film, cartoni animati e videogiochi. Il mostro è diventato iper realistico grazie alle nuove tecnologie. Inoltre è accaduta un’altra cosa particolare: sempre più spesso, in alcuni cartoni animati, il mostro è mutato in qualcosa che fa ridere (vedi il cartone animato Monsters & Co.), oppure diventa buono e protagonista della storia (come il personaggio di Vampirina). Si è cercato quindi di esorcizzare la paura? Purtroppo, in questo modo, si danno meno possibilità al bambino di trovare una soluzione attraverso il contatto con sé stesso. Il percorso che il fanciullo intraprende per riuscire a contrastare i mostri, gli permetterà l’affermazione della sua individualità e della sua autonomia. Quindi è probabile che oggi i bambini appaiano meno impauriti dai mostri perché si abituano a molteplici immagini, di fronte alle quali sono però passivi e hanno meno occasioni di esplorare tali immagini archetipiche ospitate nel profondo della loro psiche.

La paura dei mostri la ritroviamo anche negli adulti e nel mondo reale. Se nell’infanzia non si affronta il rapporto con il mostro nella propria fantasia non si potrà avere la giusta capacità di sicurezza nell’affrontare i “mostri reali” nell’età adulta. Quindi lasciamo spazio all’espressione creativa nei bambini lasciandoli incontrare i propri mostri, dandogli la possibilità di vincerli come gli eroi delle fiabe, proteggendoli così da immagini troppo realistiche che limitano le loro potenzialità creative. Il processo di evoluzione interiore passa anche attraverso l’interiorizzazione delle gesta dell’eroe positivo e giusto che sconfigge le avversità e le malvagità del mondo. Se l’eroe non è capace di distinguere il bene dal male (la confusione tra questi aspetti a cui abbiamo accennato sopra), il bambino cade nell’illusione che non vi siano avversità e che tutto sia possibile al suo desiderio. Ciò sviluppa una personalità in fondo fragile e non é un bene per l’evoluzione della persona.

BY: Irene Barbruni

L’autolesionismo in adolescenza
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Molti sono gli studi che negli ultimi decenni hanno cercato di quantificare la diffusione dell’autolesionismo, ossia quando una persona deliberatamente colpisce fisicamente il proprio corpo.  Si può distinguere tra autolesionisti occasionali e ripetitivi, a seconda del numero dei comportamenti autolesivi. Sappiamo che è un fenomeno che riguarda soprattutto gli adolescenti a partire dagli 11 anni circa ed è in continua crescita. Sulle percentuali della diffusione si trovano notevoli discordanze (le statistiche variano dal 17% al 41%) in quanto c’è una variabilità sulla definizione di autolesionismo: esso si può riferire sia all’intento suicidario sia a comportamenti meno gravi, come mangiarsi le pellicine fino a sanguinare. Comunque si ipotizza che il fenomeno sia sottostimato in quanto, spesso, il sentimento di vergogna porta a nascondere i segni per timore di essere giudicati e non compresi. Anche se il tagliarsi è un comportamento auto lesivo più frequente nelle ragazze, in generale l’autolesionismo sembra interessare abbastanza equamente entrambi i sessi.

Questo tipo di comportamento può essere associato ad una psicopatologia e quindi può assumere significati diversi. Quando esso si presenza in adolescenza è solitamente legato al momento di crescita che sta vivendo il giovane. L’adolescente infatti vive la “morte” dell’essere bambino e la trasformazione verso l’età adulta. Il gesto di tagliare la pelle si riferisce simbolicamente al taglio del bozzolo dal quale l’individuo, che sta crescendo, sente di doversi liberare. Il giovane vive la profonda tensione alla trasformazione: da un parte ne ha paura e dall’altra non sa come attuare questo mutamento. Il gesto, che simbolicamente è il tentativo della rottura della crisalide da cui si vorrebbe uscire, ha l’effetto di suscitare dolore fisico che attrae e distrae dalla paura del cambiamento. Questo atto si configura anche come atto espiativo: la ferita auto inflitta nasce infatti anche dal sentimento di colpa legato al non riuscire ad essere se stessi ed a non approdare all’attuazione di sé.

Questo sintomo testimonia quanto sia importante ed essenziale l’evoluzione dell’individuo ed il raggiungimento della propria individualità.

BY: Irene Barbruni

L’enuresi notturna nel bambino
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L’enuresi è una problematica che frequentemente si può incontrare nell’infanzia. Essa riguarda l’emissione incontrollata di urina successiva alla conquista della maturità fisiologica, che in genere avviene intorno ai 3/4 anni di età. Secondo i dati statistici, questa condizione riguarda un bambino su cinque fra i 5 e i 6 anni, ma anche bambini più grandi con netta prevalenza nei maschi. Possiamo distingue tra enuresi primaria e secondaria: la prima riguarda i casi in cui non c’è stata l’acquisizione del controllo, mentre nel secondo caso si presenta dopo un periodo in cui il bambino ha raggiunto quel tipo di autonomia. L’enuresi notturna, in particolare quella primaria, è la forma sicuramente più frequente. Tralasciando tutti quei casi in cui il problema rientra in un quadro generale più complesso, mi soffermo sui casi in cui essa si presenta non associata ad altre problematiche evidenti.

Il consiglio del pediatra diventa fondamentale poiché è importante escludere problematiche di origine organica. Soprattutto in presenza di enuresi secondaria però, essa può essere un sintomo di disagio psicologico. A volte può comparire in seguito ad un cambiamento importante nella vita del bambino come la nascita di un fratellino. Di fronte al problema è importante non colpevolizzare ma tranquillizzare. I genitori per primi non devono allarmarsi poiché spesso, nei casi più lievi, si risolve senza intervenire se non con rassicurazione e qualche piccolo accorgimento, come ad esempio seguire alcune regole alimentari alla sera. Nel momento in cui, invece, il problema sembra peggiorare o si riscontrano altri tipi di disagio emotivo, è bene approfondire.

Attraverso il sintomo, quindi, viene mostrato un disagio interiore che non è cosciente. Durante la notte il bambino rimane in contatto con se stesso e con le sue paure. Bagnare il letto è una regressione legata alla paura di crescere e quindi al desiderio di tornare nel grembo materno (il liquido amniotico). Spesso una vita diurna troppo piena di impegni, con poche occasioni per elaborare e rimanere in contatto con se stessi, porta ad una eccessiva stimolazione dell’estroversione a scapito delle capacità di introversione della personalità. Ecco che allora le paure durante la sera e la notte, diventano più difficili da reggere per un bambino non abituato al contatto con il mondo interiore. Può essere di aiuto rivedere il carico di stimoli durante la giornata ed aiutare il bambino a gestire il proprio mondo interiore. In quel mondo interiore costituito dall’immaginario, si annidano immagini e fantasmi che lo spaventano e, di fronte alla spinta che lo porta a crescere, può cadere nella tentazione di regredire (perché il mondo della prima infanzia è percepito come migliore in quanto erano presenti maggiori attenzioni della madre).

Il bambino deve esser accompagnato ad affrontare le paure della sua crescita, dandogli gli strumenti giusti: cioè le immagini e le nozioni che lo incoraggino a sperare nel suo futuro. Mostrargli l’immagine di un bambino adulto che s’inserisce nella vita sociale della famiglia, attraverso l’aiuto che offre ai propri cari, lo aiuta ad intravedere gli elementi forti e altruistici della sua personalità; questi lo sorreggono di fronte alla sua paure.

BY: Irene Barbruni

Il bambino e il no. Il significato dell’opposizione tra normalità e patologia.
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La fase dell’opposizione è una fase importante nello sviluppo infantile. Il bambino provoca l’ambiente per mettere alla prova la sua autorevolezza e la capacità di contenimento del genitore. Questa fase inizia intorno ai due anni, momento in cui il bambino comincia anche a definirsi con “Io”. La funzione principale di questo periodo è quella di affermare la propria individualità che non va confusa con la necessità dell’indipendenza, in quanto la necessità della propria indipendenza richiede dimensioni psicologiche più evolute.  Quindi, in questa fase precoce l’esigenza di affermare se stesso viene catturata all’interno della propensione all’autoriferimento. Il bambino non ha e non può avere coscienza della sua dipendenza dalla figura materna, egli tende a usare la madre e tende con ciò a dominarla, assaporando il gusto di un tale potere. 

La durata di questa fase e l’intensità dei così detti “capricci” dipende molto dalle risposte che i genitori sviluppano. Purtroppo non è uno stadio che scompare da solo con l’età, ma necessita dell’intervento educativo dei genitori. I bambini imparano presto che in luoghi pubblici, o comunque in presenza di altre persone, gli adulti sono più propensi ad accettare le richieste per evitare le “scenate” del proprio figlio. Quasi sempre vi è la richiesta di qualcosa che il bambino vuole subito, ed è bene, in questi casi, essere fermi ed autorevoli. Altrimenti si finisce per confermare lo sviluppo delle capacità monipolatorie, che il bambino impara ad usare quando si fa dominare dall’esigenza di soddisfare nell’immediato il suo desiderio.  Il no del genitore può essere accompagnato da una spiegazione, soprattutto quando il bambino, a partire dai tre/quattro anni, è in grado di comprendere i motivi del rifiuto. Nel caso non si riesca sul momento a spiegare al bambino i motivi, si potrà farlo in un momento successivo di maggiore tranquillità.

È fondamentale quindi non cedere mai quando la richiesta del bambino è accompagnata da una modalità di imposizione sull’adulto. Inoltre è buona regola non accontentare subito una richiesta, ma posticiparla; in questo modo viene allenata la capacità di attesa e quindi di contenimento di quel desiderio.  Infatti la capacità di contenere e di attendere, quindi di reggere il tempo, saranno deteminanti in tanti ambiti della sua vita. Il bambino che non sa attendere si condanna alla subordinazione ai suoi bisogni, che lo portano a sviluppare una personalità incline alla dipendenza. E quindi a vivere nell’immediatezza senza capacità di mediare tra i suoi desideri e il dato di realtà che gli si poni di fronte.  L’esercizio dell’attesa e della mediazione contribuiscono a sviluppare la funzione riflessiva, che è alla base dell’evoluzione del pensiero. Altrimenti il pensiero,  dominato dall’impulsività irriflessiva, appiattisce le sue potenzialità di discernimento della realtà.

Un altro aspetto importante, da affiancare alla condivisione delle ragioni del no dell’adulto nella relazione con il bambino, è l’aspetto della collaborazione. Man mano che il bambino cresce è bene  richiedere la sua collaborazione e coinvolgerlo nelle scelte e nelle regole della casa e della famiglia, in quanto ciò aiuta a sviluppare in lui una modalità di relazione più matura. Anche perché, non va dimenticato, che in questa fase, come si diceva sopra, il bambino è traversato dall’esigenza dell’Uso e del Dominio che ne regolano le scelte e quindi l’etica. L’esercizio alla collaborazione aiuta a scavalcare la fase nella quale egli vede la sua vita come uno scenario fatto di lotte.  In un ambito collaborativo l’altro smette di essere percepito come nemico o come strumento da usare, ma viene visto quale interlocutore.  Ciò fa evolvere la sensibilità etica: dalla fase della contrapposizione, colorata dal dominio sull’altro, si passa alla fase della dialettica relazionale e della comunicazione colorate dalla reciprocità.

Ci tengo a specificare che la fase dell’opposizione non va confusa con il Disturdo Oppositivo Provocatorio che necessita di una diagnosi di uno specialista e un successivo intervento, che solitamente coinvolge sia direttamente il bambino che l’appoggio ai genitori. In alcuni casi questo tipo di disturbo è associato ad altri quali: Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività (ADHD), depressione, ansia e Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Quindi il no rivolto al bambino in certi momenti e accompagnato dalla necessaria spiegazione, aiuta l’evoluzione sia psicologica che sociale del piccolo d’uomo, affinché impari a diventare adulto.

BY: Irene Barbruni

Il ritorno a scuola dopo la chiusura per la pandemia: alcune riflessioni da proporre in famiglia
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Dopo molti mesi i nostri bambini e ragazzi potranno tornare a scuola. Questo momento dell’anno è sempre ricco di emozioni e vissuti diversi, ma soprattutto quest’anno il rientro è particolare sia per il lungo periodo di chiusura, sia per ciò che verrà chiesto agli studenti per contenere la possibilità di contagio. C’è chi, sia adulto che bambino, risente meno del cambiamento delle abitudini e chi di più, a seconda delle caratteristiche di personalità, ma alcune riflessioni possono aiutare ad essere maggiormente preparati.

Una nuova situazione fatta di regole di comportamento che può apparire difficile per il fatto di essere abituati ad una notevole libertà di movimento. Infatti il senso dell’obbligo può far sentire come in gabbia; si può quindi sviluppare una certa ansia claustrofobica. Importante diventa quindi la riflessione sulla giusta ragione all’origine di tali sacrifici/regole che ci aiuta da un lato a sopportare il limite imposto e dall’altro a prendere piena coscienza che il comportamento individuale ricade su tutti, sia in positivo che in negativo. Il confine del nostro spazio soggettivo è labile e gli effetti delle nostre scelte agiscono sugli altri. Per spirito di emulazione ci sentiamo meglio se quello che dobbiamo fare lo fanno in molti e ciò aiuterà anche i più piccoli a seguire le regole che vengono loro spiegate.

Quindi questa emergenza può essere occasione per riflettere sul nostro modo di vivere, aumentare la consapevolezza di far parte di una grande famiglia e che non esiste un bene solo personale, ma il vero bene è quello che tocca tutti. Sollevandoci su un piano etico affronteremo meglio e con più coraggio le situazioni difficili che abbiamo di fronte. Riscoprire, quindi, il senso profondo di sé che nutre la nostra azione, ma soprattutto, è da esse che possiamo trarre una conoscenza più umana di noi stessi: siamo gli uni legati agli altri. I nostri figli, come noi tutti, sono spinti da questa emergenza a guardare la vita sotto altri occhi, liberandosi dalla falsa illusione che tutto sia gioco e divertimento; perché la vera vita la viviamo nell’impegno solidale con il prossimo.

Il bambino, nel suo piccolo, è chiamato a partecipare al bene di tutti, questa è la grande consapevolezza che deve raggiungere e che gli consentirà di percepirsi adulto. Quella che viviamo è una grande possibilità: recuperare il senso della nostra vita relazionale nell’impegno verso gli altri. Teniamo presente che ciò che chiediamo oggi ai nostri figli diventa un’occasione per loro di recuperare e sperimentare un ruolo sociale che nella società odierna hanno perso. Questi spunti riflessivi possono aiutare grandi e piccini ad affrontare questi mesi difficili dove ognuno è chiamato a fare la propria parte.

BY: Irene Barbruni

Hikikomori: malessere profondo in continuo aumento
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Hikikomori, che in giapponese significa isolarsi, è un termine che è stato scelto per definire una problematica che riguarda quei giovani che si ritirano socialmente. Inizialmente questo tipo di disagio è stato osservato a partire dagli anni Ottanta in Giappone, ma negli ultimi decenni sta interessando sempre più individui, anche nel nostro paese e in generale in tutti i paesi sviluppati. Si tratta di giovani, ma anche giovanissimi, che non studiano né lavorano e che si ritirano nella propria stanza annullando le interazioni sociali, spesso anche con la propria famiglia, in quanto dormono durante il giorno e stanno svegli nelle ore notturne. L’unico contatto con il mondo esterno lo hanno attraverso internet e i social network.

Le statistiche mostrano una netta prevalenza dei maschi, ma si presume che le ragazze siano in numero maggiore e che in molti casi non vengano segnalate, poiché culturalmente l’isolamento femminile assume una rilevanza minore soprattutto in determinati contesti culturali.

L’individuo inizialmente si auto reclude per evitare l’ambiente scolastico; spesso si evidenzia un fattore scatenante che non sempre appare evidente agli occhi dei genitori (un brutto voto, piuttosto che difficoltà con i compagni di classe o fenomeni di bullismo). Nella personalità del ragazzo si possono comunque osservare delle caratteristiche quali: difficoltà ad entrare in contatto con gli altri e angoscia della relazione. Questi disagi portano ad un eccesso di rinuncia e a declinare la propria vocazione relazionale (comunque presente in ogni essere umano), verso i mass media, i quali vengono percepiti mediatori, che quindi fungono da filtro protettivo nella relazione. Tutto questo porta ad un graduale peggioramento delle capacità di reggere e sopportare le frustrazioni che fanno parte delle esperienze quotidiane e delle relazioni interpersonali. Le relazioni che si instaurano davanti ad un computer hanno delle caratteristiche che portano ad un impoverimento delle capacità relazionali, poiché prive del contatto diretto e spontaneo con l’altro.

Spesso il disagio si manifesta con il rifiuto della scuola mostrando una grande sofferenza; accade solitamente nei primi anni delle superiori, ma anche già alle scuole medie. Il fattore scatenante può apparire agli occhi dei genitori, come abbiamo detto, un episodio innocuo,  ma che in una personalità fragile diventa motivo che giustifica la resa e quindi  l’abbandono scolastico ed infine l’auto-reclusione.

Diventa quindi fondamentale riconoscere i primi segnali di disagio; nel momento in cui il ragazzo comincia a saltare giorni di scuola e rinuncia a momenti di condivisione con i propri pari,  come lo sport o altri momenti di incontro. Il confronto tra genitori ed insegnanti in questa fase è fondamentale, come chiedere consiglio ad un professionista per evitare che si arrivi ad uno stadio troppo critico che richiederebbe un intervento più lungo e difficile.

Attualmente la didattica a distanza e il divieto, per motivi sanitari, di frequentare in libertà luoghi sociali, rende più difficile la valutazione della gravità di alcune situazioni. In questo momento storico delicato diventa quindi ancora più importante osservare con attenzione i nostri figli. Il confronto con la realtà e le esperienze dirette con gli altri, fatte anche di momenti di sofferenza e frustrazioni, sono fondamentali per la crescita. La consapevolezza che nella vita sono le difficoltà che riusciamo a reggere a renderci più forti e non solo quelle che riusciamo a superare, è una riflessione che non deve mai mancare nel lavoro educativo. Ogni età prevede delle frustrazioni con cui l’individuo deve confrontarsi per la propria crescita. Queste ultime riflessioni possono essere spunto per la prevenzione di disagi che riguardano la sfera relazionale, ma certamente nel momento in cui si sospetta l’instaurarsi di un ritiro sociale è  importante intervenire in modo tempestivo.

Il fenomeno non ha tuttavia solo motivazioni circoscritte alla sfera relazionale, ma investe proprio l’etica e la valorizzazione delle relazioni umane. L’attuale società sta sviluppando un’etica della relazione tutta piegata sul successo e sull’apparire, e ciò squalifica proprio la dimensione relazionale, la quale invece rappresenta il cuore dell’esperienza umana. Quindi promuovere una cultura della relazione, intesa come relazione di reciprocità, aiuta a contrastare la deriva autistica che osserviamo in quei giovani che si chiudono in se stessi e nella loro stanza.

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