BY: Irene Barbruni
Secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale delle Sanità), entro il 2030 la depressione sarà la malattia cronica più diffusa nel mondo. In Italia colpisce oggi 4,5 milioni di persone: nella maggior parte sono donne (in rapporto 2 a 1 rispetto agli uomini). Un’indagine condotta da Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) su un campione di 1.004 soggetti (tra cui 503 donne e 501 uomini) ha constatato che per il 27% degli intervistati la depressione si colloca al secondo posto, dopo i tumori, per impatto negativo percepito sulla vita di chi ne soffre. Inoltre, rappresenta una delle principali cause di invalidità temporanea e permanente. Tutti questi aspetti comportano necessariamente un costo molto elevato, non solo in termini di risorse umane ma anche economiche.
Ma vediamo nello specifico, innanzitutto, che cosa si intende per Disturbo Depressivo Maggiore. Esso rientra nel gruppo dei disturbi dell’umore e riguarda tutti quei casi in cui si è in presenza di un umore depresso o irritabile con perdita di piacere, per almeno due settimane, verso le attività che in precedenza era di interesse. La depressione, o melanconia, è quindi caratterizzata da una profonda tristezza che raggiunge un’intensità tale da superare un certo limite, soprattutto in quei casi in cui non vi è una circostanza che giustifichi tale stato, come per esempio il lutto di una persona cara. In generale, si distinguono due tipi di depressione: endogena (che nasce “dal di dentro” senza avere una causa esterna) e reattiva (quando lo stato è causato da un evento esterno e dove viene osservata una reazione eccessiva e prolungata).
I sintomi riguardano: cambiamento nell’appetito e di conseguenza del peso corporeo (aumento o perdita), disordini del sonno (aumento o insonnia, piuttosto che inversione giorno/notte), agitazione o rallentamento psicomotorio, perdita di energia, sentimenti di indegnità, difficoltà di concentrazione, pensieri di morte ricorrenti ed ideazione suicidaria. A seconda della gravità della sintomatologia e dell’incidenza sul funzionamento generale, abbiamo tre tipi di gravità del disturbo: lieve, moderato e grave. Purtroppo anche i bambini possono vivere sentimenti depressivi. L’esordio, nell’età dello sviluppo, può essere segnalato più spesso da disturbi d’ansia, fobie, agitazione, lamentele somatiche, rifiuto scolastico e in generale disturbi comportamentali. Sono quindi manifestazioni insidiose, non sempre, tuttavia, indice di esordio di stato depressivo. Negli adolescenti, invece, è presente una compromissione a livello sociale e messa in atto di comportamenti rischiosi.
La tempestività della diagnosi è fondamentale per la cura e la conseguente guarigione. La terapia può riguardare sia quella psicoterapica, che in presenza di una depressione lieve può bastare, oppure una terapia farmacologica che nelle forme più gravi è spesso necessaria. La terapia combinata, che richiede ambedue i percorsi terapeutici, è la via più indicata ed efficace, perché non solo incide sui sintomi, ma cerca la soluzione delle cause. Nell’80% dei casi in terapia si ha una completa remissione.
Ma perché oggi assistiamo all’aumento di casi di disturbo depressivo? Questo è un quesito a cui molti studiosi cercano delle risposte. Già a partire dagli anni settanta del secolo scorso lo stato depressivo viene legato alle circostanze sociali e culturali. Si diceva che l’età moderna è l’epoca della depressione. Nel campo della psichiatria i fattori socioculturali hanno assunto nei decenni sempre più un peso notevole. A proposito di questo tema Arieti scrive “La cosa terribile è la mancanza di significato in questo clima culturale, in cui molti sentono che hanno perduto i loro ideali e non li hanno sostituiti con ideali nuovi” (S.Arieti, J.Bemporad, La depressione grave e lieve. L’orientamento psicoterapeutico, Feltrinelli, Milano, 1981, p. 434).
Il lavoro psicoterapeutico ha, quindi, la funzione di riportare un nuovo significato e ricondurre il soggetto, immerso nella propria tragedia, verso un percorso che conduce al “trionfo dello spirito umano”, cioè alla capacità di sapersi ridefinire di fronte a situazione esistenziali nuove. In altre parole è il ripristinare la possibilità di essere contro l’impossibilità di essere.