BY: Irene Barbruni

Riso amaro
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Riso amaro
di G. De Sanctis (Italia, 1949)

Italia 1949. Regia: G. De Sanctis. Interpreti principali: S. Mangano, V. Gassman, D. Dowling, C. Lizzani.

Riso amaro è un film italiano del 1949 che racconta le vicende di due donne, nell’Italia del dopoguerra, sullo sfondo del mondo contadino e popolare dell’Italia che vive la liberazione dal fascismo.

La protagonista, Silvana, è una giovane che parte alla volta delle risaie e durante il viaggio viene coinvolta da Walter e Francesca, un coppia di ladri. Mentre Francesca, rendendosi conto della meschinità di Walter, cerca di non farsi più usare da lui, Silvana cade nella trappola credendo di aver trovato amore e sicurezza.

Silvana è una donna che nasconde, dietro ad atteggiamenti che sfoggiano la sua bellezza e carica erotica, un temperamento fragile e ingenuo. Incantata dal sogno di vivere una vita diversa acconsente passiva a tutto ciò che Walter le chiede. Quando brutalmente vede la vera realtà e l’inganno che ha subito, non sopportando la sofferenza ed il disgusto morale per quello che stava facendo, si toglie la vita.

L’altro personaggio femminile di rilievo è quello di Francesca che, avendo vissuto prima di Silvana la stessa sua esperienza, tenta di salvare la ragazza da una relazione distruttiva. Francesca non solo riesce a liberarsi di Walter, ma lo affronta cercando di fermare il piano di furto, che avrebbe recato gravi danni alle donne che avevano lavorato duramente.

In questo film è anche rappresentata l’amicizia, tra queste donne lavoratrici, che nasce come unico modo per poter affrontare, con maggior forza, una situazione comune. Lo scarso potere che detengono è legato dall’unione che riescono a consolidare condividendo la stessa miseria.

Il rapporto di coppia che è rappresentato dai personaggi è un tipo di relazione in cui la donna è un oggetto da utilizzare e, quindi, è totalmente sostituibile. Le due protagoniste diventano succubi di un uomo che riesce a nascondere la propria indole crudele e violenta attraverso le false promesse di una vita migliore che verrà. Una strategia che attecchisce in un tipo di femminile che sogna un futuro felice e che vuole uscire dalla povertà e che ha la convinzione che solo un uomo può fornire una vita migliore.

In Silvana si può riconoscere lo schema di riferimento (della donna di quel tempo, ma anche di oggi) secondo il quale la bellezza è il mezzo che garantisce il successo e l’immunità dalle tragedie della vita. Quindi, il rapporto con la corporeità è essenziale nel suo rapportarsi al mondo. La scena del ballo raffigura chiaramente questo assunto: questa donna è convinta che con la sua bellezza possa dominare il mondo degli uomini, senza accorgersi che è un oggetto ai loro occhi. Silvana ha un modo di agire che ostenta sicurezza di sé ma che nasconde bisogno di sostegno; un fare viziato dallo schema esposto precedentemente.

Francesca quando acquista consapevolezza della situazione in cui si trova reagisce con forza e determinazione raggiungendo una capacità di valutazione superiore che le consente di svelare la natura negativa del proprio uomo. Nel personaggio di Silvana, invece, la conoscenza è molto legata alle sensazioni riferite alla corporeità e non sviluppa un livello di conoscenza oltre tali sensazioni.

Per quanto riguarda la dimensione dell’aspetto spirituale, non si osserva un’apertura ad un sentimento religioso, se si esclude un senso di lealtà e di amicizia di Francesca verso Silvana e verso la comunità.

Confrontando Silvana e Francesca si può vedere come la conoscenza di se stesse e della realtà che le circonda sia una differenza sostanziale tra le due donne. Silvana vive la paura di conoscere (Maslow, Motivazione e personalità, 1973) e sembra utilizzare la difesa della negazione perché nel dialogo si può intuire come, probabilmente, pur sapendo che sta aiutando un uomo senza scrupoli, ha bisogno di credere che l’uomo finalmente le faccia vivere la vita che ha sempre sognato. Invece nel personaggio di Francesca vediamo come la conoscenza, in questo caso del proprio uomo e di un’altra realtà nuova (donne che lavorano duramente per guadagnarsi da vivere), la renda più libera e più forte.

In questo film sono rappresentate due donne che riescono ad affermarsi solo superando la cattiveria maschile e sono, comunque, destinate a non essere felici.

BY: Irene Barbruni

Rebecca la prima moglie
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Rebecca la prima moglie (Rebecca)
di A. Hitchcock (USA, 1940)

USA 1940. Regia: A. Hitchcock. Interpreti principali: L. Olivier, J. Fontane.
Tratto dal romanzo di Daphne du Marier.

Rebecca la prima moglie è un film americano del 1940, tratto dal romanzo di Daphne du Marier, ambientato negli Anni Quaranta. La protagonista è una giovane dama di compagnia che, in un viaggio nell’elegante Monte Carlo con una petulante e benestante signora, incontra un ricco vedovo inglese; innamorata di lui lo sposa e lo segue in Inghilterra nella sua sontuosa tenuta. La giovane si trova presto a dover affrontare il fantasma del ricordo di Rebecca, la prima signora de Winter, deceduta circa un anno prima. La casa impregnata della sua presenza, il mistero che avvolge la scomparsa della prima moglie, l’ossessione patologica per Rebecca da parte di una domestica e il silenzio inquietante del marito, la portano sull’orlo della follia. Il panfilo ritrovato in mare riporterà a galla il mistero dietro la morte della prima signora de Winter.

I principali temi trattati in questo film sono due: una ragazza di umili origini che sposandosi si trova investita di un ruolo nuovo, totalmente estraneo al suo modo d’essere, e il confronto con l’immagine della prima moglie come donna perfetta, elegante e amata dal marito. Per quanto riguarda il primo tema si può osservare come questo personaggio rappresenti un chiaro esempio di un tipo di donna che si appoggia totalmente alla guida di un uomo; un marito ricco che diventa il solo punto di riferimento e con il quale la protagonista matura un debito insanabile.

La protagonista è una ragazza indifesa e timida che si trova a dover affrontare una situazione carica di inquietudine esistenziale che, in ultima istanza, rappresenta le sue recondite paure e le sue profonde insicurezze. All’inizio sembra totalmente guidata dagli eventi che la travolgono e il paragone con la prima moglie la rendono ancora più insicura e fragile. Quando scopre la verità, ossia che Rebecca non era altro che una donna senza scrupoli, crudele e odiata dal marito, ella ritrova finalmente la pace. Rimane, comunque, sempre una donna mite che resta fedelmente accanto al marito. Questo personaggio è inserito in un contesto sociale, tipico dell’alta borghesia inglese, in cui il marito detiene il potere economico e di decisione. La tipologia di coppia che traspare dai dialoghi e dalle vicende è asimmetrica, infatti alla figura del marito intraprendente si contrappone quella della moglie devota e quieta.

Dal punto di vista lavorativo e di realizzazione personale si nota come l’attitudine per il disegno è svalutata dalla protagonista e non è visto come mezzo di realizzazione. Esaminando l’aspetto della corporeità, per quanto riguarda l’identità di questo personaggio, si trova una tipologia di donna molto simile al personaggio descritto in “Casa di bambola” di Ibsen dove è rappresentato un femminile fragile e incapace di vivere senza l’appoggio di qualcuno. Il personaggio di Joan Fontaine trasmette attraverso il linguaggio non verbale fragilità e sembra che si percepisca non come donna ma come una bambina ancora informe. Il marito entra in relazione con lei confermando questa visione, infatti si atteggia fin dall’inizio in modo paterno e protettivo. Nella seconda parte del film però il personaggio riprende sicurezza, anche se resta costante il temperamento pacato e legato al ruolo di moglie devota.

L’agire inconcludente e “balbettante” è caratterizzato da una continua ricerca di conferme da parte dell’autorevolezza maschile. La capacità di autorealizzazione è scarsa ed insufficiente. Il maschile in se stessa, quindi la capacità di realizzazione, potrebbe essere raffigurato dal padre della protagonista che nel racconto è descritto dalla stessa come un artista vissuto e morto in povertà ma pieno di qualità morali.

Ritroviamo nel personaggio della Fontaine una donna quasi infantile che ama un uomo e cerca di salvare il suo amato per liberarlo dalla disperazione che vive. Un tipo di donna che, come la protagonista di Lontano dal paradiso (Far from heaven) di T. Haynes (USA 2002), rappresenta un femminile che si sacrifica per amore del proprio uomo; inoltre, sono personaggi che non possono avere pulsioni sessuali, ma unicamente dei sentimenti nobili o desideri materiali.

L’immagine del padre della protagonista, un pittore non apprezzato, e il carattere remissivo della ragazza sembrano riflettere il pensiero di Jung (Gli archetipi e l’inconscio collettivo, 1980) secondo il quale per la figlia la figura del padre è fondamentale per la costruzione dell’animus (personificazione maschile dell’inconscio femminile). Inoltre confrontando la figura del padre con la personalità della figlia si può ipotizzare che, secondo quanto dice Cacciaguerra (La figura e la funzione paterna, 1977), la figura paterna ha influenzato lo sviluppo psicologico e sociale della ragazza, una tipologia di uomo più riflessivo che attivo, che quindi ha bloccato lo sviluppo dell’autorealizzazione della figlia. Nel modo in cui sia padre che figlia vivono la propria aspirazione di artisti sembra riflettere il meccanismo con il quale la scoperta di un talento comporta anche vissuti di paura riguardo ai pericoli a alle responsabilità che ciò comporta (Maslow, Motivazione e personalità, 1973).

BY: Irene Barbruni

Quelle due
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Quelle due (The children’s hour)
di W. Wyler (USA, 1961)

USA 1961. Regia: W. Wyler. Interpreti principali: A. Hepburn, S. MacLaine.

Quelle due è un film americano del 1961 che racconta un profondo rapporto di amicizia tra le due protagoniste, che condividono un sogno e i problemi che ostacolano la loro vita, toccando il tema dell’omosessualità femminile e dei pregiudizi di una comunità.

Karen e Marta sono due giovani maestre che dopo tanti sacrifici riescono ad aprire una scuola, che sembra essersi avviata nel migliore dei modi. Un’allieva capricciosa e disubbidiente crea scompiglio tra le compagne e rivela alla nonna episodi che sembrerebbero riflettere una relazione omosessuale tra le due insegnanti; in breve tempo le famiglie allontanano le proprie figlie da scuola. Le due maestre, con il solo appoggio del fidanzato di Karen, intraprendono una causa per calunnia che perderanno. Solo dopo viene scoperta la mala fede della ragazzina, ormai però il destino delle due donne è compromesso. Infatti, l’equilibrio psicologico di Marta e il rapporto di Karen con il fidanzato si spezzano in modo irreversibile.

Karen è una donna serena ed equilibrata, insegue il suo sogno di aprire una scuola con determinazione e affronta la situazione drammatica che le si presenta con forza. Anche nel rapporto di coppia è lei che assume il potere di decisione stroncando la relazione con Joe e dimostrando di avere più consapevolezza riguardo alla realtà del loro rapporto.

Marta appare una donna dal carattere più irrequieto e sofferente. La situazione che deve affrontare, per lei, ha un risvolto più profondo perché è costretta a scoprire se stessa. Scopre la sua omosessualità, immersa in una situazione drammatica e impregnata dal pregiudizio. Il suicidio potrebbe essere un modo per comunicare la percezione che ha di se stessa: non degna di vivere perché travolta da sentimenti che non comprende e che vive come mostruosi.

Il rapporto di coppia, tra Karen e Joe, rappresentato in questo film, è paritario, equilibrato e rispettoso delle esigenze di entrambi. Decisionalità e progettualità sono frutto del dialogo. Ciò nonostante il legame non supera le difficoltà che derivano da un’incomprensione profonda alimentata dal pregiudizio sociale. Infatti, Joe non si “affida” pienamente al suo amore ma si lascia influenzare dagli accadimenti esterni. Nella storia poi emerge la capacità decisionale della donna che in quegli anni è un fatto eccezionale. Lei decide, infatti, di rinunciare ad un matrimonio in onore della verità poiché si rende conto dell’impossibilità di accettare una situazione in cui il dubbio si sarebbe sempre insinuato compromettendo l’autenticità del rapporto.

In tutto il film emerge una genitorialità non attenta alle vere esigenze educative; genitori che si fanno manipolare dalla tirannia dei figli o dal pregiudizio sociale. Diversamente la genitorialità che sperimentano le due donne con le loro allieve, in particolare Karen, comprende una relazione tesa a far maturare le ragazze al di là dell’educazione scolastica.

Nel film è rappresentata un tipo di cultura in cui il corpo è sempre visto come osceno e, quindi, il rapporto con la corporeità è altamente problematico. Marta vive il proprio corpo e la propria sessualità con estrema ambivalenza e non riesce ad approdare alla propria identità sessuale, a causa dei pregiudizi; Karen, invece, avendo una chiara identità sessuale, vive il proprio corpo-sessualità in modo sereno.

Entrambi i personaggi hanno un fare determinato e si mostrano liberi dai luoghi comuni cercando uno stile di vita autentico; ma Marta, portando dentro di sé il fardello di un tema socialmente ancora non affrontato, si mostrerà più fragile.

Il senso religioso può essere ritrovato nella spinta alla ricerca dell’autenticità, ossia dell’essere se stessi.

In entrambi i personaggi troviamo il bisogno di esplorare le proprie capacità e capire cosa si è in grado di fare, caratteristiche della donna che Maslow (Motivazione e personalità, 1973), negli Anni Settanta, vede in netto sviluppo. Nella prima scena è rappresentata un tipo di amicizia fondata sulle confidenze dell’uno verso l’altra (Dunn, Affetti profondi. Bambini, genitori, fratelli, amici,1993), ma è un rapporto frainteso in una società che affronta il tema della omosessualità con paura e intolleranza.

Inoltre nel film Quelle due (The children’s hour, USA 1961) si può osservare che il personaggio di A. Hepburn rappresenta un tipo di donna che ricerca un’esistenza basata più sull’essere che sull’apparire, infatti la sua preoccupazione principale è di vivere una vita autentica affrontando le difficoltà della vita.

BY: Irene Barbruni

Lontano dal paradiso
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Lontano dal paradiso (Far from heaven)
di T. Haynes (USA, 2002)

USA 2002. Regia: T. Haynes. Interpreti principali: J. Moore, D. Quaid.

Lontano dal paradiso è un melodramma, girato nel 2002, che rappresenta la tipologia della donna degli Anni Cinquanta.

I coniugi Frank e Cathy Whitaker hanno tutto per sembrare felici: agiatezza, eleganza, bellezza, salute, due bambini ben educati e stima dei concittadini. Finché Cathy, madre e moglie esemplare, scopre l’omosessualità di Frank e vive il suo dolore in silenzio, trovando conforto solo nell’amicizia con il giardiniere di colore, un uomo colto e sensibile. Il perbenismo e la moralità corrente non la perdona: dovrà rinunciare all’amore “impossibile”.

Il personaggio di Cathy appare, fin dalle prime scene, come la donna perfetta, che sa fare tutto ciò che le compete, con un carattere dolce, affabile e gentile in ogni occasione. Nel momento in cui scopre il marito tra le braccia di un uomo reagisce subito fuggendo ma, in un secondo tempo, quando si trova di fronte a lui, non perde la sua indole comprensiva e la sua dolcezza cercando di essere per lui un punto di appoggio ed aiuto. La reazione del marito, che attraversa un momento di confusione e di disagio, è, invece, aggressiva nei confronti della compagna; ciò nonostante lei reagisce in modo discreto anteponendo i bisogni del marito, di non essere aggredito e giudicato, ai suoi. Nasconde il dolore agli altri, e quindi anche a se stessa, non confidandosi neanche con la più cara amica.

L’unica persona da cui trae un appoggio morale e umano è il giardiniere, che pur non conoscendo esattamente le ragioni del dolore che la donna sta vivendo, riesce a starle accanto dandole ciò di cui ha bisogno: comprensione e conforto, ma soprattutto un rapporto di sincerità e di spensieratezza che non poteva avere con il marito, distante a causa di tumulti personali. Tra Cathy e il marito non può esserci un rapporto autentico in quanto la “perfezione” della moglie non può che risvegliare il senso di frustrazione nel marito che vive una profonda solitudine. Significativa a questo riguardo è la scena in cui l’uomo piange di fronte a Cathy manifestando il dramma che sta vivendo, mentre tenta di nascondere la propria natura, vivendo una vita inautentica. Sempre a questo riguardo è altrettanto significativo il dialogo tra l’uomo e lo psichiatra, una figura che non considera il problema relazionale all’interno della coppia.

Quindi, il rapporto di coppia che è rappresentato in questo film è fonte di dolore per la protagonista la quale cerca in tutti i modi di salvare il proprio matrimonio. Per quanto riguarda l’amicizia, quella con Raymond si contrappone a quella con l’amica Eleonore; mentre la prima è fondata su un’intesa profonda e su una condivisione di valori umani, la seconda è più formale, basata su un legame nato dallo stile di vita simile. L’identità corporea di questo personaggio è perfettamente in linea con il carattere docile e dolce che essa esprime in tutto il film. Cathy appare una donna vestita in modo sempre elegante, mai fuori luogo nello stesso tempo mai appariscente; il corpo e il volto sempre sorridente esprimono pacatezza e dolcezza. Il modo di agire è guidato dalla propensione a rendere il mondo un luogo sereno e tollerante; un fare legato ad una conoscenza che ricerca la verità e non il formalismo. L’aspetto spirituale può essere ritrovato nella profonda accettazione dell’altro, che è amato anche nel momento in cui provoca dolore, e nell’incontro profondo con l’altro che è percepito al di là dei pregiudizi sociali. Cathy ricerca la giustizia ma nel momento in cui si rende conto che con il suo comportamento può creare dei grossi problemi alla propria famiglia decide di rinunciare ad esprimere liberamente i propri sentimenti.

Cathy è una donna completamente identificata nel ruolo di moglie e di madre, ma la sua “perfezione” si scontra con una realtà tutt’altro che perfetta. La vita “invidiabile” che sembra condurre all’inizio del film, quando persino una giornalista decide di fotografarla ed intervistarla considerandola un modello di perfetta donna di casa con un marito e una casa “da copertina”, si sfalda durante la storia. Infatti Cathy non condurrà più quel tipo di vita con un marito ed una casa socialmente accettate, ma avrà solo l’amore “impossibile” di un uomo che è giudicato scandaloso e inaccettabile dalla società.

BY: Irene Barbruni

La stanza di Marvin
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La stanza di Marvin (Marvin’s room)
di J. Zaks (USA, 1997)

USA 1997. Regia: J. Zaks. Interpreti principali: D. Keaton, M. Streep, L. Di Caprio.

La stanza di Marvin rappresenta il rapporto tra sorelle e il legame tra madre e figlio sullo sfondo del grande tema della malattia e della morte. La storia si svolge negli Anni Novanta e le due protagoniste sono due donne della classe medio-bassa, ma rappresentano due tipologie diverse di scelte socio-culturali. Inoltre sono rappresentate due tipologie di famiglie: da una parte un nucleo famigliare formato da una donna sola mentre dall’altra una famiglia formata in seguito alle esigenze di accudimento.

Bessie da vent’anni assiste il padre costretto a letto da un ictus; in seguito ad accertamenti medici le viene diagnosticata la leucemia e l’unico modo per vivere è un trapianto di midollo osseo. Decide così di contattare Lee, sua sorella, che al momento della malattia del padre aveva deciso di non occuparsene: ciò aveva creato discordia tra le due donne che non si erano mai più viste.

Bessie è la figura di una donna forte che dedica la sua vita al bene dell’altro ed è totalmente realizzata benché si sia trovata quasi costretta a dover intraprendere quella scelta di vita. Quindi la sua identità é strettamente legata al ruolo di “buona samaritana” e dedica se stessa agli altri operando all’interno della famiglia. Lee è, invece, una donna che non è riuscita a realizzare i sogni che aveva in gioventù. Vent’anni prima era fuggita dalla realtà del padre, bisognoso di cure, per realizzare se stessa e vivere una vita diversa; ma, arrivata alla soglia dei cinquant’anni, si trova sola con due figli e una vita insoddisfacente che non riesce a gestire.

Le due sorelle superano il rancore che le ha tenute lontane per molti anni e riscoprono così un’intimità nuova che non avevano instaurato durante gli anni dell’infanzia.

Per quanto riguarda il rapporto di coppia, attraverso i dialoghi si comprende come entrambe vivano all’interno di un sogno d’amore mai realizzato. Infatti, Lee vive l’abbandono, e quindi il tradimento del marito, mentre Bessie sperimenta l’unico amore della sua vita nell’adolescenza. In un momento di confidenze racconta il tragico e, nello stesso tempo, curioso episodio che accompagna la morte del giovane che amava. Bessie è la “figlia beniamina” che rinuncia al matrimonio e ad una propria vita fuori dal nucleo familiare di origine per amore dei genitori.

La maternità è un aspetto che nei due personaggi si differenzia notevolmente. Infatti nel personaggio di Lee essa è vissuta in modo contraddittorio perché, pur amando il figlio vive, proiettandolo su di esso, il tradimento del padre. Invece Bessie, vive una maternità mai sperimentata direttamente ma agita nei confronti del padre, della zia e dei nipoti. Le due donne raffigurano due tipologie di madre in quanto l’una è madre biologica ma non riesce a stabilire un corretto rapporto con il figlio, mentre l’altra si configura come madre spirituale in quanto capace di stabilire un contatto profondo con il nipote.

Nella figura di Bessie nel rapporto con il padre e la zia anziani troviamo le dinamiche descritte da Cigoli (Il corpo familiare: l’anziano, la malattia, l’intreccio generazionale, 2000): la malattia diventa condizione di conferma di legame e anche momento di “resa se conti” perché chi ha dato ora riceve. Bessie accetta questa responsabilità e trae ricchezza da questa situazione, mentre Lee non affronta tali tematiche e conferma il suo stile di atteggiamento di rifiuto di alcuni aspetti della realtà. Ciò che differenzia Lee da Bessie è anche il fatto che quest’ultima si sente legata ad un debito reciproco che la vincola alla famiglia. Come spiegano Scabini e Donati (Nuovo lessico familiare, 1995), i figli e i genitori sono accomunati sia dal debito che dal dono. «Il debito crea una catena di obblighi, ma anche il dono crea catena, provoca una circolazione libera che crea legame» (Scabini e Donati, 1995 pag. 158). Quindi la cura, come atto di dono, è una sfida che Bessie ha accettato ristabilendo uno stato di dono/debito, che alimenta il legame. Questa donna da un valore particolare e profondo alla propria esistenza, dedicata alla cura del padre e della zia anziani, una forma di amore che restituisce significato alla propria vita.

Per quanto riguarda l’aspetto della corporeità dell’identità nel personaggio di Lee si può notare come essa dia un’importanza maggiore alla bellezza mentre Bessie vive e quindi percepisce il corpo come luogo della sofferenza. Significativa, a questo riguardo, è una delle prime scene quando le due sorelle si rivedono. Lee cerca di apparire meglio di quanto in realtà non sia, mentre Bessie sembra voler solo nascondere la sua sofferenza fisica. Per quanto riguarda la finalità della modalità di agire è descritto come Lee cerchi di sfuggire alle inquietudini esistenziali, mentre Bessie è rivolta agli altri. Per quanto concerne, invece, lo stile del fare Bessie è discreta e non mette in mostra ciò che fa, mentre Lee è più appariscente, estroversa e palesa chiaramente il suo fare. Anche per quanto riguarda la modalità di conoscenza si possono osservare due tipi diversi di sapere: Lee ha un sapere legato ai lavori da lei intrapresi (infatti si trova in difficoltà quando deve, per esempio, interloquire con i medici che curano il figlio), invece Bessie ha un tipo di conoscenza più articolato e raffinato anche per quanto concerne l’ambito umano.

Bessie vive una spiritualità di compassione, di benevolenza e di profonda accettazione che però arriva a piena maturazione nella riconciliazione con la sorella mentre Lee vive una religiosità formale che sente estranea alla vita quotidiana.

Questa scena racconta i vissuti di una madre che non riesce a gestire il proprio rapporto con il figlio, probabilmente perché non ha superato la delusione dell’abbandono del marito. Si può allora ipotizzare che il rancore di Lee per l’ex marito, attraverso meccanismi di proiezione, influenzi negativamente i rapporti con il figlio. Per questo la donna non riesce a comprendere la stima e l’amore che il figlio prova ancora nei confronti del padre che lo ha abbandonato, mentre manifesta aggressività nei suoi confronti. Sembrerebbe che questa donna sia priva di quello che la Deutsch (Psicologia della donna adulta e madre, 1945) chiama “spirito materno” inteso come atteggiamento protettivo verso il neonato.

BY: Irene Barbruni

La figlia di un soldato non piange mai
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La figlia di un soldato non piange mai (A soldier’s daughter never cries)
di J. Ivory (GB-USA, 1998)

GB-USA 1998. Regia: J. Ivory. Interpreti principali: K. Kristofferson, B. Hershey, L. Sobieski, J. Birkin.

La figlia di un soldato non piange mai tratta il tema del passaggio dall’adolescenza alla maturità: il distacco dal clima affettivo familiare e l’inserimento nel clima sociale esterno (lo scontro con la durezza della realtà sociale). È descritta una famiglia inserita nella cultura degli Anni Sessanta in cui si vive il tentativo di superare il modello autoritario dell’educazione tradizionale.

I coniugi Wills si trasferiscono a Parigi con la loro figlia Channe. Bill è un veterano americano della Seconda Guerra Mondiale e Marcella una donna solare ed espansiva. Giunti in Francia decidono di adottare un bambino: Benoit (anche se in seguito il bambino vorrà cambiare nome e chiamarsi Billy come il padre adottivo). I due bambini passano la loro infanzia in terra francese. Quando Bill scopre di essere malato decide di trasferirsi nuovamente con la famiglia in America volendo far crescere i figli in patria. Channe attraversa una fanciullezza serena e spensierata in Francia e vive fin da bambina un rapporto privilegiato e di confidenza con il padre. Il ritorno in America coincide con la sua adolescenza, il cambiamento di luogo e lo smarrimento collegato al cambiamento di luogo rispecchia il senso di mutamento, anche interiore, legato alla ricerca della propria identità e di nuovi valori. Lo spaesamento che la ragazza vive nella nuova scuola e con i nuovi coetanei viene capito dal padre che, lasciando libera la figlia, la invita a una più attenta riflessione su di sé e al recupero del senso di sé.

Entrambi i genitori sono liberi nei loro rapporti e nei confronti dei figli: il padre è una figura affettiva più presente, la madre è più attenta alle relazioni sociali.

Lo smarrimento iniziale, in cui Channe sperimenta rapporti occasionali e superficiali da cui esce con un senso di vuoto (Deutsch, Psicologia della donna adulta e madre, 1945), è seguito da una fase in cui ella ritrova una propria identità più matura. La ragazza ricerca e scopre attraverso il corpo e la sessualità la sua identità ed ha una personalità curiosa sempre alla ricerca della sua identità. La conoscenza è acquisita attraverso le esperienze di vita ed è legata all’immagine e all’ammirazione verso il padre, mentre la spiritualità fa parte degli accadimenti della vita che è guidata da una forte spinta ad essere veri.

In questo film ci sono tre personaggi femminili che presentano caratteristiche diverse. Marcella è una donna che vive intensamente le proprie emozioni e non nasconde il carattere forte ed impulsivo. È una madre premurosa, consapevole delle sue responsabilità e non nasconde il suo temperamento impulsivo. Significativa a questo riguardo è la scena in cui Marcella, dopo aver scoperto le punizioni corporali che la maestra utilizza con il figlio Billy, non esita ad affrontare la situazione reagendo in modo impulsivo ed aggressivo (gettando della sabbia sul viso dell’insegnante in segno di disprezzo). Una madre che si oppone nettamente alla figura del padre che, come è stato spiegato in precedenza, è più incline al dialogo e alla dolcezza. Anche Marcella è dolce nei confronti dei figli, ma sa essere anche graffiante.

Channe è, invece, una ragazza che trae la sua forza dal rapporto con il padre, con cui ha un rapporto autentico e libero, che le permette di maturare una consapevolezza di se stessa e un’indipendenza che è in netto contrasto con la figura del fratello, il quale sviluppa una personalità più introversa e sofferente.

La terza ed ultima figura è la tata portoghese che rappresenta una tipologia di femminile legata ad una cultura degli anni precedenti. Infatti, questa donna rinuncia a sposarsi, e quindi a costruire qualcosa per se stessa, in nome dell’amore materno per Channe, senza rendersi conto che ormai la bambina, che ha accudito per anni, è diventata una giovane donna e non ha più bisogno delle sue cure.

BY: Irene Barbruni

Kramer contro Kramer
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Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer)
di R. Benton (USA, 1979)

USA 1979. Regia: R. Benton. Interpreti principali: D. Hoffman, M. Streep.
Dal romanzo di Avery Corman.

Kramer contro Kramer è un film americano del 1979, tratto dal romanzo di Avery Corman, che tratta il tema della crisi di coppia e del divorzio raccontato attraverso uno scontro in tribunale tra i genitori per l’affidamento del figlio.

Il personaggio di M. Streep è una donna che attraversa un momento di profonda crisi personale ed è alla ricerca di un nuovo senso nella propria vita. Dopo otto anni di matrimonio e con un figlio decide di trovare se stessa al di là dei ruoli che ricopre. Non trova nel marito un punto di appoggio e di comprensione; egli, infatti, è preso dalla sua carriera e da per scontata la presenza della moglie che si occupa della casa e accudisce il figlio durante la sua assenza per il lavoro. Quindi, una relazione di coppia in crisi principalmente per un momento di riflessione della moglie, che non trova una partecipazione e una comprensione da parte del marito, che è totalmente estraneo a quanto essa sta vivendo.

Solo l’amica è a conoscenza dei tumulti personali che sta vivendo la protagonista e comprende questi vissuti probabilmente perché vicini anche alla sua situazione personale. Entrambe condividono il sentimento di frustrazione verso la vita di casalinga che non fornisce elementi sufficienti per la loro autorealizzazione.

La maternità è in un primo momento, probabilmente, vissuta come un qualcosa di doveroso in quanto donna e moglie, ma non percepita in modo consapevole. Sicuramente la protagonista non esaurisce nel ruolo materno la propria identità e autorealizzazione che è cercata anche in altri campi. L’essere madre all’inizio in un momento di confusione è vissuto come un ruolo non adatto e troppo grande per lei. Ma, quando prende coscienza di se stessa e acquista più fiducia nelle proprie capacità, il ruolo di madre è percepito come una parte della propria identità molto importante e inscindibile da se stessa. Il corpo esprime il vissuto interiore e la crisi di identità attraversata dalla protagonista. All’inizio esso è svilito e sofferente, in seguito la nuova consapevolezza fornisce nuova luce e forza espressa attraverso l’immagine che fornisce di sé attraverso la propria presenza.

Il fare è determinato e anche nel momento di crisi fornisce una via d’uscita alla forte sofferenza. La conoscenza è diretta verso se stessa e spinge alla ricerca del senso della vita e di una propria realizzazione come donna e come persona.

Nel personaggio di questa donna si può trovare sia l’aspetto descritto da Maslow (Motivazione e personalità, 1973) del bisogno di esplorare altri lati dell’identità che non sia solo quella di madre e moglie, sia l’aspetto che analizza Brustia (Donna e lavoro: il mondo interno e la realtà esterna, 1990) del conflitto che il genere femminile vive nel momento in cui deve conciliare il ruolo di madre con quello di donna che lavora. Nella reazione del marito si vede anche come il bisogno di ricercare le proprie capacità e coltivare le aspirazioni personali non siano da lui comprese; a questo riguardo Brustia (Donna e lavoro: il mondo interno e la realtà esterna, 1990) spiega che spesso il bisogno di realizzazione di una donna nel mondo del lavoro è accettato e compreso solo se è dovuto a problemi economici.

Inoltre si può osservare che in questo personaggio compare anche il conflitto tra il bisogno di evadere dal ruolo di moglie e madre e la consapevolezza che non è possibile fuggire dall’essere madre. Nel momento in cui la protagonista riflette su se stessa, ricercando la propria identità, riscopre anche il proprio ruolo di madre.

BY: Irene Barbruni

Il fantasma dell’opera
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USA 2004. Regia Joel Schumacher. Interpreti principali: Gerard Butler (il Fantasma), Emmy Rossum (Christine Daae), Minnie Driver (Carlotta), Mirando Richardson (Madame Giry), Simon Callows (Andre).

Il film porta sullo schermo il musical di Lloyd Webber, tratto dal romanzo di Gaston Leroux.

Christine è una giovane ballerina della compagnia del teatro dell’Opera di Parigi, che viene scelta come sostituta di Carlotta, la capricciosa primadonna dello spettacolo.

L’esibizione della giovane artista stupisce ed incanta tutto il pubblico compreso “l’Angelo della Musica”, il suo mentore, una voce misteriosa che la ragazza crede appartenga ad un angelo mandato dal padre che, prima di morire, le aveva promesso di rimanerle accanto attraverso la musica. In realtà l’Angelo della Musica è un compositore e musicista sfigurato, che si nasconde nei sotterranei dell’Opera, conosciuto come il Fantasma dell’Opera che terrorizza tutti gli artisti.

L’amore tra Christine e il Visconte Raoul de Chagny scatena la gelosia del Fantasma che comincia a perseguitare la ragazza. Simbolicamente il Fantasma dell’Opera rappresenta l’Ombra di Christine. L’archetipo dell’Ombra è definito da Jung (Gli archetipi e l’inconscio collettivo, 1976) come tutto ciò che l’individuo non conosce, quindi quello che risiede nell’inconscio, ma che in qualche modo è sempre presente come una persecuzione incessante. Infatti, il Fantasma risiede nei sotterranei dell’Opera, in luoghi oscuri e sconosciuti: un’immagine che richiama ai contenuti dell’inconscio, un luogo scuro dove non arriva la luce della coscienza.

La persecuzione si scatena quando Christine si innamora; simbolicamente ciò può essere letto come le paure e i timori che emergono nel momento in cui nasce un amore. Infatti ciò che prima dell’innamoramento era solo una voce benevola d’ispirazione, diventa poi con lo scatenarsi delle passioni amorose una forza oscura che tenta di separare i due innamorati. Il Fantasma diventa e rappresenta quindi, il maschile persecutorio che la ragazza ha dentro di sé. Forte è la contrapposizione tra la bellezza, la voce melodiosa della ragazza e il volto sfigurato dell’essere che abita in luoghi oscuri.
Ma le cicatrici coperte da una maschera sono coraggiosamente messe alla luce, quindi ciò che è rimosso e vissuto come mostruoso è portato alla coscienza.
Christine si trova, quindi, a dover affrontare la sua Ombra, quella parte della sua personalità da cui è sfuggita fino a quel momento.
Riguardo a questo Jung afferma:

E’ questa la prima prova di coraggio da affrontare sulla vita interiore, una prova che basta a far desistere, spaventare, la maggior parte degli uomini. L’incontro con sé stessi è infatti una delle esperienze più sgradevoli, alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo che ci circonda…

Infatti, il volto sfigurato del Fantasma è coperto da una maschera (Persona) che la ragazza toglie per scoprire il vero volto. Jung continua e dice:

Chi è in condizione di vedere la propria Ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito: ha perlomeno fatto affiorare l’inconscio personale. (Gli archetipi e l’inconscio collettivo, 1976, pag. 19)

Nel momento in cui Christine scopre l’amore per il Fantasma, e quindi accetta anche l’immagine orribilmente sfigurata, che è comunque parte viva della sua individualità, si libera dalla persecuzione. Ritornando alla lettura simbolica, quando la ragazza impara ad amare anche il maschile dentro di sé si libera del lato persecutorio e delle paure legate al legame sentimentale con Raoul.

BY: Irene Barbruni

Fiori d’acciaio
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Fiori d’acciaio (Steel magnolias)
di H. Ross (USA, 1989)

USA 1989. Regia: H. Ross. Interpreti principali: J. Roberts, S. Field.

Fiori d’acciaio è ambientato in una città di provincia dell’America alla fine degli Anni Ottanta. Il film sviluppa la tematica della maternità usando l’antitesi estrema vita personale-maternità (infatti, la scelta della maternità comporta anche il sacrificio della propria vita per amore del figlio) e da spazio in modo particolare al rapporto madre-figlia e alle amicizie tra donne di tre generazioni.

La protagonista, interpretata da J. Roberts, è Shelby che vive un momento della vita molto felice: ha un lavoro che ama e si è appena sposata. Poiché malata di diabete, i medici le sconsigliano di avere figli, ma venuta meno la possibilità di adottarne uno, a causa del proprio stato di salute, decide di rischiare e di avere un figlio proprio. La madre non approva la scelta ma resta, comunque, accanto alla figlia che dovrà affrontare molte difficoltà fisiche. Un gruppo di amiche fungono da supporto psicologico alle due donne e aiutano a sopportare il dolore della madre di Shelby quando la giovane muore per i gravi problemi di salute che la gravidanza le ha procurato.

Shelby non si arrende alla sua malattia e con determinazione cerca di vivere una vita piena e completa. La sua realizzazione non è solo nel lavoro che svolge, che è un continuo occuparsi degli altri, ma anche nella vita privata. Ella decide di avere un figlio malgrado il divieto dei medici per non negare a se stessa e al marito la gioia della genitorialità. Nelle vicende della protagonista la madre è molto presente, un appoggio costante e fondamentale ma anche elemento di confronto nella vita di Shelby. Il padre è figura che nel film non appare in modo fondamentale, ma si intuisce la sua disponibilità e fiducia nei confronti delle figure femminili.

Fondamentale è l’amicizia: un gruppo multi-generazionale di donne che sono un supporto per superare le difficoltà della vita di ognuna. Il rapporto di coppia è descritto attraverso poche scene e rimane sullo sfondo, ma si deduce che sia permeato della tematica della maternità. La maternità è vissuta dalla protagonista come fondamentale e insostituibile per la sua realizzazione personale e spirituale.

Attraverso le figure delle due donne, madre e figlia, sono rappresentati due tipi di genitorialità: quella più strettamente biologica, che da’ la vita per la vita, e quella spirituale ed educativa che accoglie la vita e la tutela.

L’aspetto dell’identità legato alla corporeità sembra esaurirsi nella maternità che è vissuta come essenziale per la propria presenza. Anche il fare e l’agire sono legati a questo aspetto in cui è espressa tutta la forza di decisione e di determinazione. Per quanto riguarda la modalità di conoscenza di questo personaggio si può osservare come sia interamente legato all’universo femminile, infatti il gruppo di donne che circonda il personaggio è fonte di sostegno ma anche di sapere. Mentre, per quanto concerne l’aspetto spirituale e religioso dell’identità della protagonista, esso è sostanzialmente legato al sentimento oblativo ispirato dalla fede nel valore supremo della vita che si rinnova.

Nel personaggio di Shelby ritroviamo una donna che vive la propria maternità come il completamento di se stessa e quindi un’ esperienza a cui non può rinunciare. La madre vive con dolore la scelta della figlia perché ciò comporta un pericolo da cui lei non può proteggerla. La maternità è vissuta dalla protagonista come valore insostituibile; una donna che vive l’essere madre come l’aspirazione più alta che può raggiungere nella sua vita. Il personaggio stesso dice che una lunga vita non avrebbe senso senza un figlio.

Riprendendo il pensiero di Eliade (Il sacro e il profano, 1984), il quale afferma che l’esperienza mistica è considerata al di là del riferimento soprannaturale e come un’intensificazione delle esperienze in cui si vive la trascendenza di sé, si può ipotizzare che questo personaggio viva l’essere madre come un’esperienza di qualcosa di sacro.

Oltre al tema della maternità, in questo film, è molto presente il gruppo di amiche che diventa fonte di forza per la vita delle donne che ne fanno parte. Infatti, come spiegano Parker e Gottman (Social and emotional development in a relational context: friendship interaction from early child hood to adolescence, 1989), dal punto di vista psicologico un soggetto che stabilisce un rapporto di affetto e di intimità con altre persone è sicuramente più avvantaggiato nell’affrontare le difficoltà della vita rispetto a chi ne è privo. Le donne di questa vicenda formano un gruppo multigenerazionale, dove gli scambi tra le componenti sono fondamentalmente verbali e confidenziali che formano un clima molto intimo, un modo di vivere l’amicizia che Brown (L’incontro e la svolta: la psicologia femminile e lo sviluppo delle adolescenti, 1995) osserva come caratteristica tipica delle amicizie femminili, in modo particolare nell’adolescenza.

Paragonando le protagoniste, degli ultimi due film, appena descritte, Tess (Una donna in carriera) e Shelby (Fiori d’acciaio), si può osservare come siano due donne animate dai contrasti. Entrambe le figure femminili devono lottare per poter realizzare le proprie aspirazioni, sia per quanto riguarda il lavoro, sia per quanto riguarda la realizzazione come madre. Quindi, una tipologia di donna che deve lottare per ottenere ciò che vuole e sacrificare una parte di se stessa.

BY: Irene Barbruni

Eva contro Eva
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Eva contro Eva (All about Eve)
di R. J. Mankiewicz (USA, 1959)

USA 1950. Regia: R. J. Mankiewicz. Interpreti principali: B. Davis, A. Baxter, G. Sanders, G. Merrill.

Eva contro Eva è un film americano del 1950 in cui è raccontata la storia di due personaggi femminili che vivono nell’ambiente teatrale dell’America degli Anni Cinquanta. Eva Harrington, interpretata da A. Baxter, è una giovane donna che sogna di diventare una stella del teatro e che con determinazione insegue il suo obiettivo. Margo Channing, interpretata da B. Davis, è un’affermata attrice. Attraverso queste due figure è raccontato da una parte la scalata al successo di una ragazza e dall’altra il lento declino, in campo lavorativo, di una donna giunta all’apice del successo.

Eva si presenta all’inizio come una ragazza semplice e piena di sogni. È figlia unica di una coppia di contadini da cui sembra essersi allontanata per sfuggire le proprie umili origini e negare così una parte di sé. Eva riesce a conquistare la fiducia di chi le sta intorno mostrandosi gentile e volenterosa, riuscendo a sfoggiare le sue doti e capacità e inventandosi un passato che la fa apparire come una ragazza sfortunata ma molto leale e piena di qualità umane: suscita così compassione e stima nelle persone che incontra.

Solo alla fine il personaggio si rivela per ciò che è realmente, ossia una donna che pur di arrivare al successo non esita a servirsi degli altri. Eva quindi si dimostra una ragazza astuta e intelligente che con pazienza riesce a gestire le persone conquistando ciò che vuole; il prezzo del successo sembra essere la solitudine e il disprezzo di chi l’ha conosciuta per come è veramente.

Anche l’amicizia, per Eva, sembra essere percepita unicamente come un mezzo per ottenere i suoi obiettivi. In particolare riesce a farsi aiutare da due donne, Margo e Karen, le quali si commuovono di fronte alla storia di Eva e alla sua, apparente, dolcezza ed umiltà. L’amicizia finisce nel momento in cui scoprono la vera indole di Eva che, per ottenere ciò che vuole, si serve delle persone che riesce a conquistare. Anche il rapporto di coppia è svilito: secondo la percezione di questo personaggio, infatti, anch’esso è considerato un modo per arrivare al successo.

Nel personaggio di Margo, invece, è rappresentato il dramma di una donna che vive un momento della vita in cui ha paura di perdere quelle doti femminili in cui aveva riposto la capacità di gestire un rapporto, denunciando con ciò la sua sfiducia nelle proprie capacità umane. Margo vive un rapporto di coppia con un uomo che non asseconda il suo modo di percepire se stessa unicamente come un corpo che sta invecchiando: in questo caso il legame di coppia è punto di appoggio nella crisi vissuta dal personaggio.

Confrontando il personaggio di Eva e quello di Margo si può notare come il corpo, che assume un significato centrale, sia legato alla bellezza della gioventù. Margo si trova in un momento della vita in cui il tempo della giovinezza sta finendo: ciò la mette in crisi, ma ritroverà fiducia in se stessa anche grazie all’appoggio del compagno. Eva, invece, è in una fase della vita in cui possiede giovinezza, talento e bellezza che le permettono di gestire la sua vita. In entrambi i personaggi domina l’idea che la donna più è giovane e bella più ha valore.

In questi personaggi si possono individuare due tipologie di atteggiamenti e anche due diversi tipi di sapere e di modalità di conoscenza. Per quanto riguarda il modo di fare Eva agisce imponendo il suo volere e manipolando gli altri mentre Margo è impulsiva e irriflessiva ma mai aggressiva; anzi, spesso nei momenti di rabbia appare nella sua più intima fragilità. Per quanto riguarda il tipo di conoscenza Eva conosce tutto ciò che può esserle d’aiuto per realizzare il suo sogno e diventa anche un’abile manipolatrice degli altri, dimostrando però la sua totale incomprensione delle relazioni profonde tra le persone. Margo, diversamente, ha una conoscenza legata all’emotività.

Ricercando in questi due personaggi l’aspetto spirituale e religioso si può notare come per Eva la realizzazione di un sogno sia posta sopra ogni cosa, mostrando così diverse una religiosità prevalentemente materialista e tradendo quella ingenua mistica della recitazione della sua adolescenza (la scena in cui racconta come deve essere emozionante ascoltare gli applausi che sono segno di amore). Nel personaggio di Margo si può ipotizzare che sia rappresentato un momento di passaggio in cui, da donna attraente e di talento, che ha vissuto il proprio successo come unico modo per autodefinirsi e per definire la propria esistenza, sta ricercando nuovi modi per definirsi e per trovare un proprio modo di porsi nel mondo.

Un tema centrale, in entrambi i personaggi femminili, è quello dell’essere e apparire: due donne che basano la propria identità sull’apparire più che sull’essere. Margo si trova a dover affrontare il dramma di vivere i primi segnali dello sfaldamento di questa modalità di definire la propria femminilità.

Margo ben rappresenta una tipologia di donna completamente identificata nel ruolo professionale e convinta che esso è l’unico aspetto che la può autorealizzare e da cui può trarre le qualità per essere amata dal proprio uomo. Quindi, un’unica immagine di sé che, se viene scalfita, sconvolge l’intera personalità che è percepita senza valore. Alla fine del film Margo recupera anche un altro lato di sé slegato dalla professione, e recupera sicurezza e stima di sé acquisendo anche il ruolo di moglie e amica amata per quello che è e non per il ruolo che ricopre.

Nel personaggio di Margo si possono individuare gli elementi di cui parla Nerci (Il corpo femminile in evoluzione: rappresentazione ed esperienza della menopausa nelle donne di oggi, 1992), illustrando che tanto più l’immagine della bellezza del corpo è stata fonte in passato di gratificazione e rassicurazione, tanto più sarà percepita l’intensità della crisi. Inoltre l’autore osserva che diventano importanti, in questa fase della vita, la sfera della sessualità e dell’amore perché una vita ancora completa nei vari aspetti può contrastare i sentimenti di svalutazione e la percezione di se stessi come non desiderabili. Infatti si può vedere nel dialogo come il personaggio maschile, compagno della protagonista, sia fonte di supporto.

Nella dinamica di coppia qui rappresentata sembra esserci anche una tipologia di conflitto che, come fa notare la Harding (La strada della donna, 1951), in realtà è un conflitto interno e soggettivo. Infatti la protagonista vive un’inquietudine, uno smarrimento interiore riguardo alla sua personalità e trasporta questo suo vissuto anche all’interno della coppia, vedendo un compagno che preferisce una giovane ragazza a lei quando in realtà non è così.

In questo film è rappresentato un tipo di donna che considera la bellezza e il successo, qualità indispensabili per essere amata. Leggendo l’ultima parte del dialogo, evidenziata, si può osservare che il compagno cerca di far comprendere alla protagonista che al di là della sua bellezza possiede alcune caratteristiche più importanti, come l’intelligenza. Come nel film Rebecca, di A. Hitchcock (USA, 1940) si può osservare un tipo di uomo che vive in modo più autentico, anche se non è necessariamente più forte. Le donne sono, comunque, sacrificate in quanto hanno una visione squalificante di se stesse.

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